Chi lavora nei piani di azione commerciale lo sa: una delle cose peggiori in questo Paese, in tema di burocrazia e disorganizzazione è il registro imprese.
Ogni volta che si fa un’analisi e mappatura del mercato potenziale, è normale che emergano clienti tra diverse categorie: tra i “produttori”, tra i “grossisti/dettaglianti” e tra “installatori / manutentori e riparatori”.
Peccato che poi si scopra che il produttore ora fa solo commercializzazione, il rivenditore in realtà è una nota industria, e via dicendo. Ci sono persino molti casi di aziende che nel corso degli anni hanno cambiato completamente settore, prodotto, servizio, attività. Nessuno ha aggiornato il codice attività.
Ci sono poi categorie evolute nuove come il “commercio elettronico“, i cui elenchi si sono rivelati molto richiesti, anche se è una categoria non omogenea rispetto all’impostazione dei codici settoriali ad albero ATECO che derivano dai codici Istat. Infatti molte nuove aziende si mettono solo in questa categoria, ma a rigor di logica dovrebbero comunque essere anche nel proprio settore merceologico.
A questo proposito, proprio i vecchi codici ISTAT, quelli a due cifre per intendersi – mentre gli attuali ATECO 2007 sono a sei cifre, sono la croce e delizia degli analisti di mercato.
Molte aziende hanno ancora il vecchio codice di due caratteri. Il Direttore Commerciale si ritrova di fronte a un codice tipo: 46 Commercio all’ingrosso. Davvero inutile!
Si dirà che è colpa del commercialista che non aggiorna il codice. Ma chi ha la responsabilità di identificare con precisione l’attività non potrebbe sollecitarne la definizione precisa? A cosa serve avere un elenco impreciso, incompleto, fuorviante?
Se non si è esperti si può anche incorrere nei trabocchetti sul numero dei dipendenti: possibile che ci siano così tante aziende che non li dichiarano? Infatti è diverso dire che una azienda ha ZERO dipendenti dichiarati dal dire che il campo è vuoto. Ma non dovrebbe essere un dato comunque trimestralmente dichiarato e presente nel registro imprese?
Non parliamo dei dati più importanti che mancano: non esiste un registro dei siti internet delle aziende? Questa informazione è la più importante: come mai da anni noi consulenti di strategia lo richiediamo ma nessuno fa niente?
Il discorso sui dati rilevanti che mancano sarebbe lungo. Alcuni anni fa si pensava di cancellare le camere di commercio (presso la cui sede è il registro delle imprese): è chiaro che esistono anche i rivenditori privati di dati, i quali raffinano bene, completano i dati, hanno il proprio know-how di valore, ma spesso quei dati provengono come fonte primaria proprio dall’archivio del registro delle imprese e si portano dietro le imperfezioni.
Queste inefficienze sono tra le motivazioni dell’incapacità del sistema aziende di produrre un PIL e una crescita al livello della media europea: nelle aziende ho rilevato persone scoraggiate, rassegnate, oppure semplicemente hanno poco tempo e i dati dovrebbero essere rilevanti, raffinati, affidabili, aggiornati e soprattutto dovrebbero i dati arrivare al decisore, e non il decisore cercarseli e dovere ogni volta impazzire a cercare il suo dato corretto.
Il vero cambiamento dovrebbe consistere proprio nel fare funzionale la burocrazia e la macchina pubblica al servizio delle imprese. Perciò mettete a posto il registro imprese!
Problema che ciclicamente si ripropone, oggi in piena emergenza Covid-19 i decreti e le ordinanze riportano elenchi illeggibili di codici attribuiti arbitrariamente e mai aggiornati che pur avendo una struttura ad albero non permettono, ad esempio, di identificare le filiere produttive da preservare rispetto alle chiusure.