Passaggio generazionale nelle aziende: riconquistare, non ereditare.

“Un figlio diventa un erede, un vero erede quando concepisce l’eredità come un compito, non come un’acquisizione, ma il compito di continuare a fare esistere, a fare vivere quello che ha ereditato”.

Così lo psicologo e autore di diversi libri Massimo Recalcati spiega al festival della cultura di Matera pochi anni fa il complesso rapporto inter generazionale tra genitore e figlio.

https://www.centodieci.it/public-program/cultura/matera-2019/cosa-vuol-dire-essere-genitori-e-figli-secondo-massimo-recalcati/amp/

E conclude il suo intervento con queste parole di Freud: se vuoi davvero ereditare quello che i tuoi padri ti hanno lasciato devi saperlo riconquistare.

La difficoltà del passaggio generazionale in azienda è proprio riassunta da quest’ultima frase di Freud, con l’ulteriore criticità che in azienda la figura del padre, del genitore, della generazione Senior da un lato e il capo, l’AD, il Presidente, il Direttore Generale dall’altro si sovrappongono.

Ciò significa una difficoltà della generazione junior di comprendere a fondo, con strumenti e contributi oggettivi, terzi, professionali, cosa, quando e perché provenga dal genitore e cosa dal boss che sono nella stessa persona.

In Italia, questo passaggio avviene sempre molto in là, nel tempo. Per usare nuovamente le parole di Recalcati, tratte dal suo bellissimo Il Complesso di Telemaco, “le nuove generazioni appaiono sperdute tanto quanto i loro genitori. Questi non vogliono smettere di essere giovani, mentre i loro figli annaspano in un tempo senza orizzonte.” 

Ecco quindi il ruolo critico del Temporary/Project Manager o Consulente di Direzione aziendale sul progetto del passaggio generazionale. Una figura professionale esterna all’azienda, che lavora sul singolo progetto di fiducia, con lunga esperienza come manager aziendale e che collabora con i tributaristi, consulenti legali, avvocati di impresa, manager, ma che ha una specializzazione e una formazione psicologica e motivazionale, di mentor, di figura disinteressata e scelta comunemente che aiuta le giovani generazioni a “conquistare” l’eredità.

Sono quando la generazione junior conquista, o meglio riconquista con orgoglio un’azienda per i propri meriti nell’aver gestito un processo di transizione e formazione con successo, essa sarà davvero la nuova generazione senior al timone dell’azienda.

Tenersi e scovare i collaboratori più bravi? Accordo di secondo livello e premi di risultato per stipendi più alti.

L‘inflazione del 2022 e del corrente 2023 ha inciso sul potere di acquisto dei salari e degli stipendi abbassando le condizioni di benessere dei collaboratori.

Chi ha un tasso variabile sul mutuo, ha subito anche un incremento della rata mensile causa l’aumento dei tassi applicati.

Collaboratori economicamente insoddisfatti, anche a parità o leggera crescita di stipendio costituiscono risorse potenzialmente poco coinvolte, motivate e premiate.

Nonostante qualche timido intervento dei governi negli ultimi anni, il costo del lavoro in Italia soffre di un carico fiscale, o cuneo, che, al crescere del livello retributivo, rende sempre più difficile riconoscere ai collaboratori riconoscimenti economici adeguati alle loro aspettative, ai loro progetti di vita e al giusto premio per un lavoro di qualità ed eccellenza.

La soluzione a questa prospettiva è immediata e praticabile ed è costituita dal salario di produttività ovvero dalla contrattazione di secondo livello legata ai risultati che beneficia anche di un vantaggio fiscale che rende il premio netto più alto.

Il premio di produttività si compone di tre parametri principali:

  • Premio per la presenza che combatte l’assenteismo
  • Premio per l’efficienza e la produttività
  • Premio per la qualità del lavoro, ovvero riduzione della non conformità o difettosità

L’attuale formulazione della legge che consente una tassazione ridotta su questi premi anche attraverso il welfare aziendale, però, richiede però di individuare obiettivi misurabili di miglioramento rispetto all’attuale livello di efficienza aziendale, di presenza e di mancanza di difettosità

Obiettivo immediato quindi deve essere quello di costruire uno strumento trasparente e condiviso con i collaboratori e che stabilisca la base 100 dell’anno di partenza, determinando a raggiungimento di un grado di miglioramento (quindi minore assenteismo, maggiore produttività, minore difettosità) il corrispettivo del premio stesso.

Ciò non significa solo dare di più in termini economici alle risorse umane coinvolte: significa anche che le stesse finalmente sono consapevoli di come viene misurata la qualità del loro lavoro, nell’ottica della responsabilizzazione, della trasparenza e del coinvolgimento.

I collaboratori che sono formati e coinvolti e consapevoli di come il risultato del proprio lavoro contribuisca al risultato aziendale, saranno legati all’azienda, soddisfatti e risorse per la crescita.

La presenza di un Project Manager o Manager consulente che costruisca con i professionisti e consulenti del lavoro dell’azienda gli strumenti garantisce l’esperienza, la professionalità e la terzietà di una figura altamente qualificata.

Digitalizzare i cicli contabili e il data entry: rischi e opportunità

La Digitalizzazione dei cicli contabili e in generale del data entry rappresenta una opportunità di riorganizzazione strategica per la PMI e non solo.

Tra le figure che stanno progressivamente venendo a mancare nel mercato del lavoro c’è quella classica del ragioniere, cioè dell’impiegato amministrativo che provvede alla registrazione delle fatture attive e passive, alla registrazione dei cicli finanziari delle banche e della cassa (e pagamenti/incassi clienti/fornitori) e alla predisposizione delle liquidazioni mensili dell’IVA, oltre che alle altre registrazioni relative per esempio al prospetto mensile del costo del lavoro.

Man mano che queste figure tradizionali vanno in pensione, si fa sempre più fatica a trovare un contabile “a tutto tondo” poiché le figure più giovani disponibili sul mercato, soprattutto se hanno lavorato per aziende medie o medio grandi, spesso si sono occupati solo di taluni cicli contabili minori (fatturazione, bollettazione, cespiti, magazzino) e non della vera e propria contabilità generale dai cicli mensili fino alla bozza del bilancio e perciò non sono autonomi e richiedono lunghi periodo di affiancamento.

L’introduzione della fattura elettronica ha aperto la strada della digitalizzazione dei cicli di registrazione contabile riducendo ed eliminando del tutto in alcuni casi le operazioni manuali di inserimento (data entry) delle fatture attive emesse dall’azienda (e per chi ha proseguito con la digitalizzazione anche di quelle passive dei fornitori) e può essere l’occasione per gestire questa trasformazione digitale cogliendone le opportunità strategiche di aumento di efficienza e produttività.

Infatti, la gestione dei flussi digitalizzati fin dalla pianificazione materiali e l’ordine verso il fornitore emessi da un programma evoluto consente di “guidare” il flusso di ritorno in modo automatico allocandolo correttamente nel codice di conto predeterminato dal singolo flusso (fattura) nel centro di costo, nelle contropartite di magazzino, nei registri fiscali e nei processi amministrativo/fiscali e così via. Questo consente quindi di non dover disporre obbligatoriamente di figure amministrative che debbano conoscere le tecniche contabili della partita doppia, della conciliazione conti, dei regimi e degli obblighi fiscali, ma semplicemente competenze di data management, acquisizione, verifica e controllo come per qualunque altro dato.

Il futuro della funzione AFC, Amministrazione Finanza, Controllo è sempre più orientato a conoscere la natura del dato e presidiarne la sua manifestazione, al suo controllo a fronte di obiettivi definiti di efficienza e misurabilità, e sempre meno a generarlo tramite operazioni manuali.

Gli stessi cicli finanziari, di inserimento movimenti bancari, di conciliazione degli stessi, di gestione dello scadenzario clienti e fornitori, di generazione della tesoreria aziendale, sono eseguibili tramite programmi e applicativi che fanno sempre più dialogare flussi di dati provenienti esternamente da clienti, fornitori e banche (ed eventualmente magazzini, reparti di produzione e logistica, altre basi e fonti di dati) con gli ERP gestionali interni nell’ottica di una sempre maggiore integrazione.

Una rivoluzione digitale della funzione AFC di questo genere, che ottimizza nel tempo i costi improduttivi dell’amministrazione tradizionale, redistribuisce i carichi di lavoro e finalmente la integra con gli altri gestionali di pianificazione strategica delle attività dell’azienda, al di là del Software che va scelto, e questo è il rischio più grande, solo avendo definito i requisiti del sistema di dati complessivo per la transizione digitale, richiede un rigoroso Project Management da parte della Direzione Aziendale affiancata da esperti aziendalisti e professionisti a disposizione dell’impresa italiana.

Il compito del consulente di direzione aziendale in questo contesto è proprio quello di trasmettere all’azienda competenza ed esperienza, nella progettazione, nella formazione e nella realizzazione degli strumenti avanzati come ERP, MRP e altri strumenti di pianificazione e controllo.

Non aspettare il cambiamento: pianifica e gestisci il cambiamento, sii il cambiamento!

Gli psicologi in azienda: perché falliscono, quando falliscono.

Nelle aziende e in special modo nelle risorse umane sono sempre più diffuse le figure di psicologi aziendali, psicologi o psicoterapeuti qualificati e di esperienza.

Si tratta di figure che supportano il management nella definizione dei profili ideali e nella conseguente valutazione dei candidati alle selezioni, facilitano la crescita del capitale umano tramite il bilancio delle competenze capacità attuali e necessarie, accompagnano la formazione per il raggiungimento degli obiettivi di competenze.

In qualità di psicologi formatori affiancano il management sul profilo motivazionale, sulla capacità di fare team, gruppo di lavoro, di comunicare, di coinvolgere e motivare a loro volta i collaboratori più stretti, i responsabili e poi via via tutte le risorse umane.

Le tecniche tipiche sono quelle del coaching o del mentoring e spesso il valore più importante di questa figura professionale è quello di essere mediatori, una parte terza non interessata dalla catena di comando, che consente e agevola la realizzazione delle procedure, dei processi, degli obiettivi di ruolo, avendo una visione di insieme, confrontando le percezioni dei singoli, le emozioni, le reazioni da un punto di vista diverso, innovativo.

L’immagine della motivazione che ho voluto postare per questo articolo è provocatoriamente esagerata, ma è esattamente come in azienda i collaboratori spesso vivono le urgenze, gli obiettivi, i compiti e le procedure che devono raggiungere, pungolati dal management che spesso scambia minacce per incentivi, che non condivide obiettivi e misuratori della valutazione e dell’apprezzamento del lavoro dei suoi collaboratori.

Nelle aziende vi sono spesso tensioni, conflitti, difficoltà dovute a comportamenti, atteggiamenti o addirittura ostilità nell’organizzazione.  Idealmente il management, pur supportato dai suoi consulenti in staff interni ed esterni, inclusi gli psicologi aziendali, non dovrebbe essere la causa di questi conflitti; in realtà succede spesso che ruoli anche apicali scelti per le indubbie capacità tecniche nei contenuti del ruolo, non tengano conto di altrettanto necessarie capacità empatiche, dello spessore umano e dell’eccellenza richiesta sotto tutti gli aspetti a un leader, il quale deve essere d’esempio ai propri collaboratori, trasparente, motivante, e che li deve coinvolgere e aiutare.

E’ il manager che lavora per i collaboratori non abbandonandoli o ignorandoli e non i collaboratori per il management.

Ecco dunque una funziona ancora più importante dello psicologo aziendale come mentor del management che spesso è privo di tali capacità oppure per indole o formazione non le ritiene importanti, critiche e decisive.

I progetti degli psicologi in azienda naufragano per tre principali cause:

  • “Fammi lavorare i dipendenti”: lo psicologo è chiamato tenendo conto del punto di vista di questo management impreparato o della sua visione dei problemi, e lo psicologo risponde allo stesso management, che invece è spesso la causa delle tensioni, dei conflitti e della demotivazione aziendale.
  • “Convincimi i dipendenti”: l’intervento non è opportunamente preparato e i collaboratori abbandonati al formatore psicologo reagiscono in modo violento dopo poche settimane e mesi rigettando qualcuno che “vuole psicanalizzarli” e che non conosce il merito delle questioni (punto seguente).
  • “Parla tu con i dipendenti per capire che problemi hanno”: lo psicologo non è supportato da qualcuno che lo assista nel merito delle questioni tecnico pratiche e i collaboratori con estrazione di tipo tecnico ritengono poco valido un supporto che vivono come teorico o decontestualizzato.

Soprattutto per l’ultimo aspetto,, ma non solo Il consulente direzionale aziendale è una figura chiave per la riuscita di questi progetti poiché la sua estrazione è interdisciplinare. E’ la persona corretta per supportare lo psicologo nel tradurre gli obiettivi gestionali e organizzativi del management verso i collaboratori conoscendo i modelli di business e nel verso opposto per riportare correttamente ai manager le complessità organizzive della variabile personale e umana, facendo crescere il manager sulla capacità di comprendere il lato umano dell’attività in azienda.

Trascurare questi aspetti significa rischiare il fallimento anche per il migliore professionista psicologo di azienda.

Crisi del retail? Il Franchising continua la crescita, ma serve una nuova partnership e figure indipendenti.

Se paragonati ai dati dei settori del retail tradizionale, in costante calo, e sempre più eroso dal commercio elettronico, i dati del Franchising sono in controtendenza e in costante crescita.

Infatti 2009 i dati parlavano di 50 mila Franchisee, cioè punti vendita affiliati e cessionari dei diritti del franchise, 868 Franchisor e 200 mila occupati circa e un giro di affari di 24 miliardi circa. I dati più aggiornati, https://www.assofranchising.it/il-franchising.html#dati a cura di Asso Franchising del 2022 riportano una cifra di punti affiliati che raggiunge i 60 mila punti di vendita e un giro d’affari di quasi 30 miliardi, quasi 1000 Franchisor e 240 mila occupati.

I settori prevalenti sono sempre la GDO e l’abbigliamento anche se iniziano a farsi strada nel tempo settori del terziario avanzato, del food e dei servizi a valore aggiunto.

Interessante la crescita delle figure femminili nelle fasce di età più giovanili sotto i 45 anni, anche se resta una prevalenza nel complessivo di uomini (57%).

La tendenza generale quindi è quella di una riduzione della fascia d’età e un riequilibrio di genere, incentivato dalla possibilità offerta a giovani con un piccolo capitale di poter avviare una attività utilizzando un modello di business, quale il Franchising rappresenta, già studiato, provato, avviato e testato e disponendo di un vantaggio competitivo già presente, che richiede proprio un “partner distributivo” che conosca bene il territorio locale e la domanda e sposi il posizionamento del prodotto e del servizio.

Il caso classico è quello di persone sui 30-35 anni, i quali hanno già maturato esperienza nel settore dell’abbigliamento come commessi e responsabili di negozio o di piccole reti, oppure nella ristorazione in ruoli di contatto con il pubblico e che vogliano aprirsi la propria attività sfruttando le relazioni acquisite.

Vi sono anche figure giovani brillanti che appartengono alla grande distribuzione e a grandi marchi che non trovano opportunità di crescita professionale all’interno di grandissime realtà e che conoscendo le strategie di semplificazione e massificazione dell’offerta e di posizionamento dei big player intuiscano la presenza di nicchie non servite, di bisogni inespressi e di potenzialità conoscendo la particolarità dello specifico territorio, sempre un po’ frastagliata soprattutto in Italia.

Queste figure emergono spesso durante i colloqui di selezione con l’imprenditore franchisor o il promotore della rete per grandi organizzazioni che si avvalgono di figure professionali consulenziali specifiche, insieme al responsabile della rete franchising stessa.

In questi confronti con i potenziali franchisee, durante i quali avviene una presentazione della proposta, del vantaggio competitivo, (value proposition) della differenziazione, dei fattori critici di successo sia per il marchio/modello di business sia per il franchisee stesso, le parti si invertono ed è il Franchisee a fare un colloquio vero e proprio al Franchisor mettendo sul piatto le proprie competenze critiche e strategiche soprattutto, ma non solo, di conoscenza del mercato locale.

Non siamo più a venti anni fa, quando l’associato accettava passivamente il modello di business ed era una figura poco imprenditoriale e poco manageriale.

Ecco quindi che si impone la presenza di una figura consulenziale indipendente dalle due parti, al di là dei responsabili gestori e dei promotori di rete che sono espressione comunque del Franchisor. Lo studio costante (e non solo al lancio del Franchise) del modello vincente, il mantenimento di un rapporto equilibrato attraverso il continuo coinvolgimento (effetto abbandono), la partnership tra le due parti, l’analisi dei dati comuni per mantenere il vantaggio competitivo (feed-back dell’esperienza sul campo), il conto economico complessivo e del franchisee (catena di valore), i diritti di sfruttamento del marchio, le evoluzioni del mercato, l’impatto della digitalizzazione e della tecnologia, altre risorse comuni, sono tutti aspetti  in cui la terzietà del consulente strategico indipendente e il suo ruolo di project non sono requisiti dissimili da quello che vengono valorizzati nel retail tradizionale affiancando alle risorse imprenditoriali interne anche quelle professionali esterne.

Per chi volesse approcciarsi al Franchising, sulla materia sono stati scritti vari libri interessanti per farsi un approfondimento e in particolare consiglio quello del 2011 a cura di Giuseppe Bonani (per la parte di analisi della natura del Franchising, di avvio, studio, gestionale, organizzativa) e di Giovanni Adamo (per la parte giuridica contrattuale, Il Franchising: una formula di successo per la tua impresa – Franco Angeli sempre attuale per chi non conosca a fondo il Franchising come modello di business https://www.francoangeli.it/Libro/Il-franchising:-una-formula-di-successo-per-la-tua-impresa.-Come-creare,-lanciare-e-gestire-una-rete-di-vendita-in-franchising?Id=18823

Aggregazioni di Filiera: può un paese di trasformazione trasformarsi a sua volta?

Secondo i dati citati spesso dai grandi marchi, Il rapporto di dimensioni tra il brand o la capofila e la Supply Chain – filiera è molto sbilanciato: spesso si parla di due zeri!

L’Italia, si sa, è un paese di trasformazione, e la maggioranza delle imprese (78% degli occupati) è una Piccola e Media Impresa che lavora per altre grandi aziende fornendo soprattutto in modo più agile della filiera rigida Lean, servizi e lavorazioni industriali, fasi di produzioni, componenti e altro per grandi e grandissime aziende nazionali e multinazionali le quali quindi sono di fatto una rete di molte aziende satelliti.

Tutto questo comporta per quella che chiamiamo la capofila della rete di imprese un gap di competenze, capacità, un rischio di non omogeneità di fornitura, rischio di pesare troppo come fatturato sulla PMI, energie disperse per gestire una moltitudine di aziende medie e piccole.

Esiste anche un gap culturale tra la grande imprese, spesso managerializzata, informatizzata, digitalizzata e il mondo della PMI spesso vicino alla cultura della impresa familiare.

Per questi motivi si affacciano oggi sul mercato diverse aggregazioni di filiera, in particolare, ma non solo, nel settore della moda e del lusso, verticali e orizzontali al fine di fornire il prodotto chiavi in mano, dalla progettazione, prototipia, industrializzazione, componenti, alla costruzione del prodotto fino alla sua commercializzazione e vendita, promozione, comunicazione e anche modelleria, quindi Ricerca e Sviluppo.

E’ intuitivo come le dimensioni ridotte e la polverizzazione, in una parola il nanismo comporti diseconomie su costi fissi comuni, spesso generali ma anche indiretti relativi al costo di produzione che queste aggregazioni ottimizzano, ma vi sono anche altre aree in cui l’aggregazione porta economie a sinergie.Mi riferisco alla formazione specialistica professionale e delle competenze digitali, alla ricerca e selezione del personale, alla digitalizzazione dei processi e alla parte informatica, alla tracciabilità di prodotto block-chain, alla creazione di risorse comuni di Ricerca, Innovazione e Sviluppo prodotto e così via.

In recenti convegni i brand hanno confermato di apprezzare le aggregazioni della filiera la quale in questo modo non solo è più ricettiva ma, anche proattiva sui temi caldi, come la sostenibilità, la transizione energetica, il territorio ISF Carbon Neutral, l’artigianalità, l’aspetto storico culturale del made in Italy.

Per l’aggregazione di imprese, è più facile scovare, seminare e diffondere il talento perché l’obiettivo del Lean Supply Manager autogestita è di creare una rete di relazioni con aziende innovative e di talento  in modo più costante e intenso rispetto ai brand che è obbligato farlo in occasioni stagionali di confronto.

Come creare un gruppo verticalizzato, una aggregazione di processi, una rete di competitor su processi o progetti di proposta, value proposition, apprezzata dal mercato pur mantenendo la propria indipendenza e personalità? Quali sono gli aspetti giuridici, fiscali, societari, organizzativi e manageriali da prendere in considerazione? Come costruire la catena di delega e controllo attraverso strumenti di pianificazione e gestione? Il Consulente di Direzione Aziendale è la figura di aziendalista competente e esperta per affiancare l’imprenditore in questa scelta lavorando con i professionisti più idonei nel project management. Vogliamo parlarne?  

E il software che si deve adeguare all’azienda o l’azienda che si piega al software?

https://cedec-group.com/it/esperienza/software-adeguato-azienda-o-viceversa

Quanti sono i Software presenti in azienda? Moltissimi. Le aziende si trovano di fronte alla necessità di disporre di programmi gestionali, operativi o contabili, di gestione scorte e magazzino, MRP cioè di pianificazione fabbisogno materiali oppure software tecnico di progettazione o programmazione attività di produzione o in senso lato di pianificazione attività. E tutto questo non è interconnesso con mail, messaggistica, altra comunicazione aziendale in cui spesso passano molte informazioni critiche.

Ognuno di questi programmi gestionali presidia una specifica area, sia dal punto di vista organizzativo, sia dal punto di vista contabile, funzionale e specialistico, e spesso viene acquisito da un fornitore diverso e specifico dell’area e risale (e si trascina nel tempo) a un determinato momento storico dell’azienda.

Ciò significa che i singoli programmi non “parlano” o non comunicano del tutto tra loro all’interno di un unico strumento, l’ERP Enterprise Resource Planning un vero ambiente che integri tutte le attività e i dati con finalità di gestione strategica dell’impresa.

Ma le stesse aree attività che i programmi presidiano, tipicamente le cosiddette operation, cioè il flusso trasversale vendite-ufficio tecnico-approvvigionamenti-produzione-logistica-post vendita hanno natura diversa e logiche organizzative e produttive diverse: il commerciale ha come riferimento il preventivo, l’ordine e il cliente, mentre la produzione aggrega gli ordini confermati e definisce il lotto, la commessa, l’ordine di produzione sulla base di cicli di lavoro tenuto conto della disponibilità di risorse e delle materie prime le quali a loro volta dipendono dagli approvvigionamenti che a loro volta ragionano in termini di scorta minima e di definizione precisa da parte dell’ufficio tecnico o progettazione del fabbisogno, il quale attende magari la definizione della distinta base proprio da quel commerciale dal quale tutto comincia.

Ecco perché un software, anche integrato e rigidissimo, non basta.

E’ corretto dire che ognuna delle funzioni sopra citate funziona (e ragiona) come un ingranaggio che gira alla propria velocità e discontinuità e che occorre “raccordare” per allinearlo a quella degli altri ingranaggi affinché alimenti e sia alimentato da essi. In un’immagine sportiva potremmo dire che gestire un’azienda è uno sport di squadra, e la squadra debba fare un percorso in cui il tempo viene preso sul più lento, l’ultimo che arriva cui anche gli altri si devono adeguare affinché non venga “staccato” e risulti di blocco e di rallentamento agli altri. Altrimenti, come nell’immagine ci ritroviamo con pezzi di azienda abbandonati a se stessi e software in parte o in toto inutilizzati.

La risposta corretta a questa complessità, acuita dalla crisi delle materie prime e dalle incertezze del mercato, soprattutto per aziende che abbiano processi discontinui, stagionalizzati, su commessa, non automatizzati al 100%, non pianificabili nel medio termine quindi NON è inserire un ennesimo software oppure peggio ancora, prenderne uno super-integrato che paralizzi l’azienda come spesso avviene.

Si tratta invece come detto di progettare e realizzare uno strumento “aperto” e “condiviso”, costruito su misura come un abito, complessivo, conoscitivo che fornisca un cruscotto di gestione, misurazione dei processi aziendali, attraverso il quale delegare e incentivare responsabili delle singole funzioni o aree.  Uno strumento per parlarsi, di comunicazione aziendale non un semplice o complicatissimo ed ennesimo software. Ci vuole quindi un meccanismo organizzativo per costuire e mantenere questo cruscotto, aggiornarlo, formare gli attori, svilupparlo e aggiornarlo.

E questo perché va definito prima, pianificando i requisiti e il fabbisogno informativo dell’ERP:

  • Quali sono i dati/informazioni e parametri critici rilevanti da utilizzare per disporre di un cruscotto unico significativo, che misuri l’efficienza, lo stato di avanzamento corretto delle attività e le informazioni rilevanti per prendere le decisioni.
  • In quali momenti (mensilmente, settimanalmente, giornalmente) considerare completi, corretti, allineati e registrare, osservare i dati per gestire in modo efficiente l’intero processo aziendale e analizzare le cause degli scostamenti rispetto agli obiettivi.
  • Come definire e animare un Comitato inter-funzionale che “aggiusti” continuamente e allinei le diverse velocità dei singoli processi e delle attività aziendali al fine di ottimizzarne l’efficienza complessiva aziendale

Per farlo è necessario disporre in azienda di un Project & Data manager che conosca:

  1. La natura dei singoli dati, come si formano, come e quando vengono imputati, i cicli contabili, le necessità informative aziendali, i kpi, il flusso documentale della commessa, dell’ordine, del processo aziendale complessivo.
  2. Il mercato dell’azienda, il cliente, il prodotto aziendale, i fattori critici di successo, la stessa identità dell’azienda che deve utilizzare l’ERP e che l’ERP deve fare propri.
  3. Le capacità dei collaboratori e referenti aziendali che devono presidiare lo strumento necessari e quelle attuali e disponibili, formando i collaboratori, condividendo una biblioteca aziendale delle procedure operative e tecniche formative, creando nuove figure organizzative se necessario nella logica della gestione del dato proattiva.
  4. La necessità di presentare un progetto unico alla Direzione/ Proprietà coinvolgendola nella definizione dell’architettura dell’ERP ed evitando che le singole esigenze delle singole aree aziendali, espresse in momenti diversi nel tempo a una software house, senza un unico interlocutore aziendale competente compromettano l’efficace gestione complessiva dell’ERP.

Attraverso la Business Intelligence pianificata con un Temporary Manager come il consulente di Direzione Aziendale, un aziendalista esperto, non un programma ma un aggregatore intelligente di dati significativi e i nostri Project Manager è possibile disporre quindi di uno strumento di controllo, integrazione e pianificazione delle attività aziendali e di affrontare la complessità della gestione in modo efficace. E’ quallo che faccio dal 1990: vogliamo lavorare insieme anche per la vostra azienda?

400 mila auto storiche Fiat 500 modello 1957 in circolazione: lunga vita al Lusso

Le Fiat 500N, modello del 1957 nel 2016 è stata l’auto d’epoca più ricercata. Dei 6 milioni di esemplari prodotti fino al 1977, oggi ne sono registrati ancora 400 mila, di cui 20 mila in giro per il mondo posseduti da appassionati di quest’auto unica nel suo genere che ha molti appassionati e un sito dedicato https://www.500clubitalia.it/.

Esistono quotazioni dei modelli delle 500, da 20 a 30 mila Euro ma alcuni modelli, introvabili, originali, se ben tenuti possono arrivare anche a 50 mila Euro: https://it.motor1.com/news/231348/fiat-500-depoca-le-quotazioni-schizzano/ I prezzi continuano a salire, e questo è ancora più incredibile se si pensa che stiamo parlando di un’auto che era economica quando è stata prodotta e introdotta sul mercato.

Secondo il classico della letteratura del lusso Luxury Strategy, break the rules of marketing to build luxury brands, il tempo è un investimento che fa capitalizzare il valore del bello, perché la 500 del 1957 è una perla della bellezza del design italiano cui bisognerebbe tornare un po’ per tutto il design non solo delle auto, e come altri generi di beni di lusso, nel tempo, ciò che è vero lusso si rivaluta infrangendo le regole che valgono per altri beni di consumo anche durevole.

Ma in che cosa la Fiat 500 ha seguito la strategia del lusso? Lo dice il sottotitolo del libro: bisogna infrangere le leggi del marketing per costruire un brand di lusso, andando controcorrente, distinguendosi, dando unicità, qualità assoluta, rapporto umano, esperienza emozionale, insomma creando per il proprio prodotto e servizio una sorta di antilegge. Ed è questo l’avviamento, il marchio, il brand, il goodwill che rende un’azienda forte e di valore.

Riprendendo in breve qui di seguito queste leggi sul vero lusso, è sorprendente vedere come questo caso di successo le ha quasi seguite tutte!

  • non si posiziona sul mercato razionalmente e non si paragona con alcun altro o con alcuna scala di valori
  • non è un prodotto stardard in ogni senso e ha nella propria natura l’unicità
  • non asseconda i desideri del cliente e non è mai prevedibile
  • non è per tutti, anzi tende ad escludere una buona parte o gran parte dei clienti e a dominarli senza dare loro troppa confidenza, mantenendo la distanza nell’ottica dell’esclusività
  • non risponde alla domanda crescente, anzi, punta a far mancare prodotto sul mercato nell’ottica della rarità
  • non è disponibile facilmente, usa solo marginalmente l’ecommerce per completare la relazione esclusiva con il cliente e tende ad essere di difficile reperibilità
  • non rende pubblici i propri clienti e non li usa per convincerne altri a diventarlo
  • non utilizza la pubblicità per aumentare le vendite, non usa testimonial, non cerca consenso, non cerca di essere popolare, va controcorrente
  • non utilizza la comunicazione se non per promuovere arte, cultura, storia e cose che non hanno a che vedere con la quotidianità
  • non allinea il prezzo reale al prezzo atteso, ma lo tiene molto più in alto
  • non è il prodotto che fa il prezzo, né solo il prezzo a fare il prodotto: è il lusso dell’unicità a fare il prezzo
  • non è diminuendo il prezzo che si aumentano le vendite, al contrario è aumentandolo progressivamente
  • non è forzando l’acquisto nel negozio fisico o digitale che si fa lusso, al contrario si cerca di capire fino in fondo se quel cliente è davvero il cliente per il nostro prodotto e se non sarà deluso dopo qualche tempo dall’acquisto
  • il negozio non è il punto vendita, è un museo sensoriale, è la casa del cliente, il suo rifugio, il suo segreto, il personale di vendita sono i suoi confidenti, il suo mondo
  • il lusso è rapporto umano, rapporto personale, servizio unico, relazione curata, duratura, esclusiva, intensa e raffinata.

Inflazione? Carenza di manodopera? Usare i premi di produttività detassati

L’inflazione morde e se da un lato i collaboratori attuali con gli stipendi fissi hanno visto diminuire il proprio potere di acquisto, dall’altro è sempre più difficile reperire nuova manodopera generica e specializzata.

Una delle possibilità è quella di introdurre, se non già presente, un premio di produttività per i dipendenti, che è defiscalizzato per il dipendente e sottoposto a ritenuta INPS unicamente per il 10%. Detto premio è legato al risultato aziendale e va riconosciuto in misura uguale a tutti i dipendenti. Esso consente quindi un minore costo aziendale a parità di netto per il dipendente.

Si tratta di una forma di incentivo che coinvolgeva all’alba del 2019, pre-covid, poco meno di 3 milioni di occupati su un totale di 23 milioni, quindi una percentuale ancora molto bassa https://www.ilsole24ore.com/art/da-ferrero-lamborghini-tutte-aziende-che-danno-premi-monetari-dipendenti–AEmyMUKF

Oggi 2022 quindi quasi 4 lavoratori su 5 non hanno un premio di risultato aziendale, e non beneficiano di questa misura, ma soprattutto, cosa più grave, le aziende non legano la retribuzione alla efficienza aziendale, alla produttività, alla capacità di stare sul mercato e questo è un segnale delle resistenze e della mancanza di cultura e orientamento al risultato che ancora ci sono in aziende anche non piccole.

E’ possibile legare il premio a un risultato aziendale generico come l’EBITDA, ma è ancora più efficace legare ad esso anche gli indicatori sintetici di produttività e risultato, KPI (Key Performance Index) che determinano il risultato aziendale.

Non si tratta banalmente di comprare da una software house un programma informatico ICT di gestione del business aziendale nei vari aspetti, ma di disegnare i processi aziendali coinvolgendo i collaboratori come in un gioco di ruolo: quando saranno chiare a loro le regole di ingaggio, l’orientamento al risultato sarà realizzato in delega e responsabilizzazione.

Per questo progetto occorre un Project Manager interno affiancato da un esperto professionista aziendalista esterno in modalità di Temporary Manager consulenziale al fine di assicurare l’efficacia e il risultato che ripaghi l’investimento e cambi il clima aziendale e l’acquisizione da parte dei manager delle necessarie competenze di gestione delle risorse umane e delle logiche di gestione degli strumenti manageriali orientati al risultato.

Ci proviamo?

Depositare il bilancio: subito!!! (e preparare il business plan)

Mai come quest’anno è fondamentale depositare subito, quanto prima, il bilancio dell’ultimo esercizio, in questo caso il 2021. Ogni settimana di ritardo comporta costi e rischi.

Alcuni aspetti critici da prendere in considerazione:

  • Rating Bancario da aggiornare per il rinnovo dei fidi ed eventuali richieste di nuova finanza tengono conto della data di deposito, più si ritarda e più il rischio aumenta. Un consiglio? Se non lo conoscete, fatevi dare il rating dalla banca è importante capire come giudicano i nostri numeri.
  • Quest’anno le banche accorceranno di molto i tempi delle decisioni di aggiornamento dei rating, e allungano di molto le decisioni sul medio e lungo termine e la nuova finanza. Un consiglio? Cominciate a considerare di affidarvi a professionisti del credito, poiché le banche stanno letteralmente smantellanto gli uffici imprese e i direttori non contano più.
  • I budget a disposizione delle banche per i rinnovi fidi e la nuova finanza andranno via via in esaurimento e saranno particolarmente asciutti e parchi. Un consiglio? Le banche non sono tutte uguali, e i prodotti finanziari non sono tutti uguali e gli investimenti non sono tutti uguali.
  • I tassi di interesse sono in crescita: il rischio nel breve termine è vedersi applicata nei tassi una fiammata inflazionistica che poi nella seconda parte dell’anno potrebbe far ridimensionare i tassi. Un consiglio? Usare professionisti della consulenza “blocca” le condizioni.
  • Se, al contrario, i tassi salissero ulteriormente e ci fosse stagflazione, crisi dello spread e del debito, l’indebitamento diventerebbe molto costoso. Un consiglio? Adeguate i fidi al reale utilizzo, le commissioni disponibilità fondi pesano molto se chiedete molto di più di ciò che utilizzate.
  • I fornitori che lavorano con l’assicurazione crediti ci supportano solo se coperti a loro volta e gli analisti e settoristi del credito assicurato ridurranno progressivamente i fidi man mano che le settimane passano senza il deposito bilancio. Un consiglio? Dovete parlare direttamente con il vostro settorista, facendovi passare il contatto dal fornitore. La trasparenza e il rapporto diretto è sempre la cosa migliore per evitare che il fornitore se ne approfitti usando scuse per fare liquidità.

Quali sono le logiche di questo 2022 che rendono unica e particolarmente critica la valutazione dei dati di bilancio del 2021?

  • Nel 2020 in pieno Covid l’azienda quanto ha subito la pandemia? Quanto potrebbe soffrire una nuova ondata di contagio?
  • Se sì, nel 2021 è riuscita a recuperare al 100% o meno, oppure di più? E perché?
  • La posizione finanziaria dell’azienda è peggiorata? E l’autofinanziamento dei mezzi propri?
  • Come si è comportato in globale il proprio settore mercelogico di appartenenza e l’azienda rispetto al proprio comparto?
  • Quali sono i settori su cui il rischio pandemico e il rischio sistemico della guerra e dell’incremento del costo e la scarsità delle materie prime avrà maggiori effetti in futuro?
  • Quali i settori a rischio per il costo triplicato dell’energia elettrica?
  • Quanto può reggere l’azienda con i suoi fondamentali a un ulteriore cigno nero, una crisi strutturale, settoriale, del debito?
  • Se i dati del 2021 mostrassero un appesantimento e una incertezza o un rischio di appesantimento e di non ripresa, l’azienda dispone di un business plan per dimostrare che nel 2022 la situazione è di nuovo “in bolla”?

Per il bilancio avete i vostri professionisti. Per il Business Plan contattatemi: sono pronto a “massacrarlo” ben prima di presentarlo agli investitori e “stakeholder”!