Questo libro di Roberto Cipresso, “Vino, il romanzo segreto”, edito pochi mesi fa da Piemme, è un’amabile viaggio storico e geografico (con prefazione del sicuramente esperto Gianni Mura) tra i tesori dell’Italia storicamente dedita al vino; sin dal VIII secolo avanti, quando i greci ve lo portarono al sud dall’oriente.
Ma è anche un apprezzabilissmo esempio di imprenditorialità quando si parla del tempo di anche 10 anni necessario per impiantare un vitigno (e cinque anni per vedere i primi striminziti grappoli, in costante pericolo per i predatori grandi e minuscoli), delle risorse di gran lunga superiori ai rendimenti, del concetto di qualità del vino da chiarire bene rispetto ai pregi o difetti commerciali e di facile apprezzabilità.
Spesso le aziende entrano in crisi, ma per anni lo sono state già senza accorgersene nei numeri, poiché nel tempo si perdono i temi fondamentali, le domande critiche dietro alle quali e poste le quali si decide di intraprendere una start-up e anche di continuare con una impresa avviata. L’ipotesi di fondo va sempre verificata nel tempo, costantemente misurata con opportuni strumenti di mappatura del mercato e di comunicazione, con individuazione delle variabili sociali, psicologiche.
Il cambiamento va anticipato, a volte pianificato per anni e anni. Negli anni ’60 a certi livelli si dicevano cose terribili dei vini italiani, poi negli anni ’80 e ’90 è stato il turno dei vini americani, sudafricani, australiani. C’è un consumatore, un cliente, un mercato per molti beni e servizi che nessuno immagina essere necessari, e molto per chi ha capito che sviluppare una attività grazie a una app, non richiede particolari doti imprenditoriali, e lo sanno fare molti.
“Pianificare il cambiamento, l’innovazione, la creatività” sembra un concetto assurdo, appare un controsenso, una contraddizione in termini. Spesso si sbaglia a pensare che tutto ciò nasca da “un colpo di genio”: molti dei miei clienti imprenditori, si stupiscono quando racconto loro di casi simili che ho vissuto in 29 anni di consulenza in azienda, e spiego come la contaminazione e la copresenza in azienda di visioni, esperienze, e formazioni di professionalità diverse, interne e dei consulenti esterni sia la base di molti casi di successo, e sia un modello costante di gestione della complessità e non il “Piano di emergenza in caso di crollo improvviso e inaspettato delle vendite”.
Spesso il valore è invece proprio dove tutti rinunciano, in settori dati per morti o declinanti in modo irreversibile, dove non basta un software un po’ complesso per fare incontrare domanda e offerta, dove il guadagno non è subito, dove c’è incertezza, rischio, dove non ci sono dati per prendere decisioni.
Essere imprenditori è immaginare un mondo che non c’è. E farlo per primi.