Il paradosso del vivaio: vendere la passione significa “seminare” e raccogliere valore del proprio prodotto.

Vivaio

Il paradosso del vivaio, è un’immagine efficace del marketing in senso pieno.

Arriva la primavera e le vendite nei vivai si moltiplicano, poiché chi possiede giardini, terrazzi e balconi acquista ogni anno nuove piante.

Chi possiede un vivaio con rivendita, spesso cura anche i giardini privati e provvede a mantere vive le piante fertilizzandole, rinvasandole, potandole e quindi, paradossalmente, a vendere meno piante a ogni nuova bella stagione.

Si tratta di una classica sostituzione tra la vendita di un prodotto e quella di un servizio; anche la grande distribuzione ha gli stessi gerani, gli stessi fiori e piante, ovviamente a un prezzo magari più basso di quello del vivaio e questa può essere una delle risposte più efficaci alla concorrenza sul prezzo.

Ma c’è molto di più: quando si trasmette la passione per il giardino, per la cura delle piante, per la bellezza, addirittura per l’architettura del giardinaggio, quello che può essere un interesse temporaneo si trasforma in un’attività di valore.

Per chi ritiene un’attività, più di un interesse o un hobby, ma una vera e propria componente del proprio stile di vita, la qualità viene sempre prima di tutto, la fedeltà ai propri “partner” è essenziale, e cresce anche la competenza del cliente nel comprendere l’eccellenza di un servizio esclusivo.

Si arriva così anche a organizzare corsi di giardinaggio, trasmettendo al cliente persino il segreto per poter generare da soli le proprie piante, spesso tramite talee e innesti: è un paradosso questo apparente “vendere meno”? No: è uno strumento formidabile di comunicazione del proprio mondo a nuovi clienti, mantenendo i propri, cui vendere consulenza, prodotti professionali, eventi.

Non farlo sarebbe come pensare, per un ristoratore di eccellenza o per un vinificatore di fama, di perdere clienti rendendo note le proprie ricette e i propri ingredienti e protocolli di qualità o i segreti della propria cantina.

Poiché non c’è mezzo di persuasione più efficace del passaparola e dell’esempio di un cliente soddisfatto che mostra il proprio giardino o terrazzo sempre verde e fiorito.

 

Quello che i CV non dicono. (E nemmeno Linkedin)

Uomo senza volto

Qualche anno fa fui chiamato da una grande azienda per sviluppare un rilancio commerciale: si trattava di valutare un riposizionamento del prodotto, adeguando o rivedendo la forza e i canali di vendita, la comunicazione, e forse il prodotto stesso.

Mi resi subito conto, ed essendo una azienda commerciale in modo molto chiaro, che c’erano pochi margini di recupero e che il rischio di insuccesso era elevato. In questi casi il professionista, se è tale, deve saper rinunciare all’incarico, se necessario.

Essendo ancora più pessimista del cliente sul futuro a breve del settore, chiesi allora all’imprenditore se per caso qualcuno lo avesse avvicinato per chiedergli la vendita dell’attività e saltò fuori che ben due concorrenti, negli anni immediatamente precedenti, avevano sondato la possibilità.

Questo imprenditore non si era posto la domanda sul perché ben due concorrenti in tre anni avevano trasmesso con un simile gesto una diversa visione del mercato, già allora pessimistica, e quindi erano disposti a spendere molto per crescere subito attraverso una operazione straordinaria. Perché?

Il mio cliente non ha accettato il mio punto di vista sul settore, né l’imprenditore ha voluto sedersi al tavolo con i concorrenti per valorizzare la sua azienda mediante una operazione di M&A, di fusione o cessione. I nostri rapporti si sono interrotti perciò bruscamente.

Dopo meno di tre anni dal mio confronto/scontro con quell’imprenditore, l’azienda ha depositato i libri in tribunale, e con la sua chiusura quasi 300 dipendenti hanno perso il lavoro. Davvero una tragedia sul piano umano e sociale, prima ancora che imprenditoriale e della storia pluridecennale di una azienda.

Sul mio CV di economista aziendalista, manager, consulente e formatore non ci potrebbe essere mai  scritto “Aveva visto giusto sul futuro del settore e l’azienda X si sarebbe salvata se avesse seguito il suo consiglio, il quale consiglio prevedeva anche la rinuncia al progetto commerciale che gli era stato commissionato“.

Sono queste le cose più importanti che i CV non dicono: ecco perché se cercate talenti, se volete creare valore per le aziende, dovete proprio cercare queste cose, perché il resto ormai con Linkedin è di pubblico dominio.

“Ricca in calcio”? Quando la multinazionale usa google translator. O peggio.

ricco in

In francese un alimento ricco di calcio è detto “riche en calcium”.

Ecco forse spiegato perché questa multinazionale francese Lactalis ha commesso un errore di traduzione sulla mozzarella Galbani scrivendo “ricca in calcio”: in italiano la mozzarella è ricca di calcio.

Chissà se hanno usato un traduttore tipo google: in realtà l’errore potrebbe essere stato fatto da un bilingue che conosce discretamente bene la lingua italiana ed è stato tradito dal complemento di materia, forse non avendo una formazione umanistica.

Si dirà: non è grave, in fondo basta capirsi. Ma è proprio così? Il consumatore è molto attento a questi errori, poiché nell’alimentare spesso sono un segno dei prodotti copiati, imitati: il falso made in Italy.

Il danno potrebbe davvero essere alto con la beffa di non poterlo quantificare poiché si misurerebbe in un mancato acquisto.

Come prevenire errori di questo genere?

E’ molto importante non dimenticare che la formazione umanistica per chi si occupa di comunicazione consente conoscere a fondo la lingua in modo sempre più decisivo. Ci sono multinazionali in Italia di prodotti concorrenti di Galbani/Lactalis i cui uffici formazione delle risorse umane fanno leggere ai propri giovani dipendenti molti libri e tengono una biblioteca aziendale.

La selezione e la formazione delle risorse umane ha impatto sul successo aziendale: una selezione e una formazione ricca di cultura umanistica è la risposta.