Le PMI additate per il nanismo cronico, oggi sono il futuro?

Solo pochi anni fa il “nanismo” delle Piccole e Medie Imprese era l’argomento di conversazione tra imprenditori, consulenti, professionisti e investitori del mondo professionale e manageriale delle aziende. Partner dei primi gruppi mondiali di consulenza si sono dedicati spesso a scrivere libri contro questa incapacità di crescere (in ogni senso) del tessuto produttivo italiano.

Già da qualche anno, grandi società di consulenza, studiosi, investitori, advisor e fondi di investimenti hanno letteralmente abbassato l’asticella entrando di prepotenza nel mondo dell’impresa familiare, spesso in Italia padronale, e di dimensioni più limitate.

Che nelle PMI ci sia spesso un valore e una capacità di crearlo più elevato, forse dovuto alla necessità di competere con concorrenti formidabili più dimensionati, questo è nei numeri, nei fatti e nella realtà: se il leader di mercato fa pressioni di prezzi al cliente sfruttando economie di scala su volumi più elevati e risorse dimensionate ottimamente per l’organizzazione dei processi, il concorrente di media o piccola taglia è obbligato a differenziare, innovare, studiare il valore per il cliente e personalizzare prodotto e servizio.

Ma in questo momento storico c’è forse qualcosa di più e di meglio da comprendere. Le aziende familiari, spesso a tasso “padronale” elevato, con presenza limitata di manager esterni alla famiglia e con struttura più appiattita, con “invasione” a gamba tesa dei soci nei processi top down, e altri difetti tipici sempre additati, vivono un momento di favore del vento per il quale i difetti si trasformano spesso in pregi.

  1. Catena del comando corta, struttura piatta e poca delega: svantaggio che diventa vantaggio perché l’imprenditore conosce meglio e a fondo la sua azienda, i suoi processi, la sua struttura e i suoi uomini. E il cambiamento è così molto veloce.
  2. Azienda sottocapitalizzata e incapace di generare liquidità e marginalità apparente: svantaggio che diventa vantaggio se si considera che non sono mai stati davvero valutati gli asset tangibili e intangibili dell’azienda, mentre nella grande azienda si ricorre spesso a queste politiche di bilancio per fare risultato. C’è patrimonio nascosto, c’è marginalità nascosta (spesso sotto forma di SNC/SAS) per non farsi scovare.
  3. Assenza o presenza limitata di manager in azienda esclusi i soci: assenza totale di comportamenti “opportunistici” in cui l’obiettivo di carriera del manager e del suo “gruppo di amici” (chiamiamoli così) divergono in modo distonico da quelli aziendali. Se non c’è delega (difetto) e controllo formalizzato in strumenti (difetto) e misurazione (difetto) e incentivazione sui risultati (difetto) è anche vero che non ci sono distorsioni sulla strategia e comportamenti tattici, aree di comfort tipici delle istituzioni totali. Le PMI non sono istituzioni totali!
  4. Strategia gestita dalla famiglia (difetto se si tende a favorire la famiglia rispetto all’impresa di famiglia considerandola un giocattolo e un bene proprio) che però garantisce quella visione di lungo termine da garantire alle generazioni successive, tanto importante in momento come quello attuale di crisi da pandemia. Pensiamo solo all’obbligo di rivedere tutta l’azienda con il passaggio generazionale che impone riflessioni assenti nelle aziende più grandi spesso “sedute” sul proprio successo.

Questi sono solo alcuni degli esempi che rendono particolarmente attraenti per le operazioni di M&A le aziende di taglio ridotto con grande capacità di crescita potenziale, che sono sopravvissute “nonostante”, che hanno poi redditività media spesso più alta di quella dellle grandi e grandissime imprese, flessibilità e innovatività.

Gli investitori, insomma, ragionano di margini ottenuti nonostante i tanti difetti dell’azienda padronale, e immaginano, non a torto che con una organizzazione e manager capaci quei margini potrebbero essere persino maggiori.

Da colpevoli di ogni ritardo e di ogni bassa produttività le PMI oggi giocano un ruolo critico importante per il futuro dell’economia? Lo scopriremo solo vivendo.

Linkedin per aziende: sei consigli (per iniziare!)

Girando per aziende in tutta Italia, e qualche volta in Europa, mi ritrovo spesso a definire piani con le agenzie di comunicazione marketing delle aziende clienti.

Linkedin è parte dei social aziendali, importante soprattuto quando le aziende sono BtoB, ed è paradossale che in un Paese dove questo tipo di aziende sono la maggioranza schiacciante, non venga utilizzato a pieno e siano così pochi i profili veramente evoluti.

La responsabilità è spesso delle stesse agenzie che si sono formate nella letteratura BtoC americana e non sono preparate a comprendere il processo di relazione coi clienti, di definizione della rete professionale e di costruzione dei potenziali contatti per aziende che hanno come clienti altre aziende, quindi con processo di acquisto articolato, da gestire con i referenti aziendali che a loro volta hanno strategie di comunicazione e carriera.

Ci sono 13 milioni di profili Linkedin in Italia, ma oltre la metà sono letteralemente “vuoti”, privi di contatti, oppure non alimentati, non aggiornati o semplicemente di persone che rivestono ruoli non decisori in azienda. La maggior parte dei profili individuali non sono collegati al profilo aziendale Linkedin, non sono profili professionali e quindi non hanno le funzioni critiche e non vengono utilizzati a pieno, ci sono doppi profili delle stesse figure, e profili evidentemente creati dalla stessa Linkedin per verificare il traffico.

Molto spesso le aziende hanno profili di più esponenti di punta utilizzati in luogo del profilo Linkedin aziendale, all’interno dei quali però la descrizione dell’attività e le parole chiave sono diversi tra loro e diversi da ciò che il cliente trova nel sito, persino i loghi sono diversi con buona pace delle coerenze di marketing e dell’indicizzazione.

Ecco quindi sei consigli per iniziare a usare Linkedin la cui utilità può essere un fattore di successo solo dopo aver costruito la propria rete strategica:

  1. Linkedin è un social professionale, ma pur sempre un social individuale: esiste quindi un doppio obiettivo strategico in un profilo di un “buyer” di un cliente potenziale: quello individuale di carriera e quello relativo al proprio ruolo in azienda
  2. La parte del profilo linkedin relativa alle referenze, interessi personali, siti e persone seguite che è posizionata in fondo, e che tutti snobbano, è in realtà la più importante. Nel marketing BtoB il processo di acquisto prevede di soddisfare le motivazioni della persona e dell’azienda dove lavora. Dietro a un buyer, a un referente, a un segnalatore, c’è sempre una persona con le sue passioni di lavoro e no.
  3. Ogni potenziale buyer, segnalatore o referente ha una sua formazione, inclinazione alle relazioni o alla razionalità del ruolo: studiare bene il tipo di personalità è più importante di chiedere amicizia, poiché in diversi casi, dopo aver studiato il profilo, il percorso del contatto è tradizionale, telefonico, o altro, ma non linkedin.
  4. Non ha senso fare spamming in Linkedin, è un errore grave perché non c’è una seconda occasione e il copia e incolla viene subito percepito. Obiettivo è creare la rete, preparare una rete social per contenuti interessanti per gli interlocutori che dobbiamo ancora studiare proprio in base a ciò che c’è nei loro profili. Non ha senso forzare: occorre invece fotografare lo stato dell’arte del marketplace Linkedin.
  5. I contenuti devono avere a che fare con le strategie del cliente, non con ciò che noi vogliamo comunicare del nostro prodotto. Il marketing vincente è aiutare il cliente a vincere la sua partita, la sua strategia di carriera, fornendo ad esso attraverso il nostro prodotto e servizio, un fattore critico di successo per il suo mercato, non per il nostro.
  6. Ricordatevi che Linkedin c’è per fare comunicazione, ma ancor prima per fare carriera e cercare lavoro: un buyer è interessato a un contatto se questo gli fornisce anche conoscenze per entrare in contatto con datori di lavoro, con HR, con occasioni professionali concrete. Va da sé che un venditore comune non è interessante più di tanto per un Direttore Acquisti o un CEO o un imprenditore di una PMI.

Tutto questo è solo l’inizio: se disponete di un CRM completo connesso con il registro imprese Linkedin professionale aziendale sarà e dovrà essere integrato e produrre “campi evoluti” “mappe strategiche” (al di là dei dati psicografici e anagrafici) capaci di suggerire all’interno della rete strategica fatta di influenzatori del processo di acquisto, la segmentazione vincente. E’ la parte più divertente, creativa, stimolante in tutti i sensi del mio lavoro con gli uffici marketing delle aziende.

Ricordiamocelo sempre: la strategia è la parte del mercato che l’azienda vuole coprire, difendere e preservare. Più è difinita e più è efficace, vincente e solida nel tempo.

Come spiega Brian Tracy nel suo libro Negoziare, la migliore negoziazione, quella che consente di acquisire e mantenere un cliente, è quella di lungo termine che crea una relazione solida di fiducia che dura nel tempo.