Il vero data analyst di mercato? Il cliente.

il cucchiaino di plastica...

Un imprenditore davanti a un distributore di bevande calde con le chiavette ricaricabili, mentre discutiamo del suo mercato, mi racconta di aver chiesto posto più volte al fornitore una domanda: “perché se scelgo la funzione caffè senza zucchero cade lo stesso il cucchiaino di plastica? Basta riprogrammare bene la macchina”

Oggi va molto di moda ricercare i dati di mercato, le analisi, le tendenze.

Eppure spesso basta saper ascoltare il cliente, il NOSTRO cliente e avere un canale aperto con l’utilizzatore del servizio o del nostro prodotto.

Questo cliente ha suggerito al fornitore come tagliare costi inutili, ha fatto presente che c’era uno spreco con impatto ambientale, ha espresso la sua scala di valore. E lo ha fatto gratis, ma in realtà non sarà gratis se a furia di domandare le risposte non arrivano.

Se i produttori di Vending vogliono sopravvivere alle macchinette a cialde forse è meglio che tengano bene aperto questo canale.

Se la serva non conosce il mercato, il prodotto e l’analisi differenziale non usiamo i suoi calcoli

'Remember what I said last month about sales figures?'

Una azienda di servizi di assistenza professionale con consulenti da remoto, un prodotto con una forte componente di costo del lavoro (quasi il 92% del costo diretto) si accorge dopo un anno di contratto con un nuovo cliente di essere in perdita prendendo il costo dedicato a quell’account misurato in ore uomo valorizzate a consuntivo.

Sbagliare il prezzo di “uscita” è veramente grave perché il cliente potrebbe non accettare l’adeguamento, ma evidentemente chi ha fatto il “prezzo” del servizio non ha fatto il prezzo giusto basandosi sui costi. Pensava che per una pratica di assistenza ci volessero mediamente 12 minuti e in realtà ce ne vogliono 19. Il punto di pareggio era a 18 minuti. 25% il margine obiettivo. E’ il conto della serva.

Ma è proprio così?

I consulenti dedicati a questo cliente lavorano in realtà per un numero di clienti, qualche decina.  E’ corretto dire che nei 7 minuti restanti avrebbero prodotto margine? L’analisi è davvero differenziale? Qual è il profilo temporale delle richieste? Sul lato minutaggio la risposta è chiudere l’assistenza entro 12 minuti obbligando i consulenti al target? Chiudere con il cliente se non accetta l’adeguamento? A cosa è dovuta la lunghezza delle sessioni? Qual è il valore della consulenza prestata e come si inserisce nella catena di valore del cliente? C’è la possibilità di instradare il cliente a passare almeno in parte le richieste per iscritto via web su un portale, senza esagerare in FAQ in cui si perda, in modo da utilizzare i tempi morti?

Le domande sono moltissime: di sicuro se la serva non conosce l’analisi differenziale, il mercato, il marketing, la catena del valore del cliente – e non la nostra –  è meglio non utilizzare i suoi calcoli per le scelte strategiche.

A che cosa serve un blog dei dilettanti? Perché il New York Times sta pensando di togliere i commenti dagli articoli? Se democratizzare vuol dire banalizzare il valore dell’editoria.

http://italians.corriere.it/2017/07/08/58161/

Egregio Severgnini, in riferimento al post su “Italians”, non mi stupisce un ridimensionamento della forma di discussione introdotta sotto ogni articolo di un organo di stampa (“Il blog è morto, viva il blog”, http://bit.ly/2tMnvUk ). Il blog è democratico, così si pensava: e invece niente di più lontano dal senso di “partecipazione” e dal “contributo” è una sorta di assemblea permanente di condominio nella quale, per il solo fatto di essere “condòmini” ci si sente in diritto di esprimere la propria “opinione” leggi spesso “insulto”, su tutto e tutti. Ne è la prova provata proprio l’Italian Franco di Cicco (“Boeri, l’Inps, gli immigrati e le pensioni”, http://bit.ly/2ut4XG6 ): scambia il presidente dell’INPS, un economista con titoli internazionali della Bocconi, primo a introdurre un corso in inglese in università, con un architetto, Stefano Boeri. Di confutare le cifre, i famosi 38 miliardi con cui 5 milioni e passa di immigrati sostengono lo Stato sociale, cioè contestare nel merito i numeri e non chi li cita, non se ne parla. Non ci meravigliamo perciò se il blog se non è morto si sente maluccio: si ha la brutta sensazione del festival del dilettante opinionista improvvisato, mentre opinione dovrebbe farla il giornale! Quindi: se seguo una testata mi attendo che mi dica qualcosa che non so già, che sia autorevole competente e preparato il giornalista o l’editorialista o lo studioso che vi collabora con un pezzo. Che il tempo – preziosissimo nell’era digitale! – dedicato alla lettura sia un investimento oltre che uno svago piacevole. Lo stesso riguarda la crisi del libro: se le case editrici pubblicano cose scritte male e noiose, alla fine il dubbio è che siano veri editori, cioè capaci di scovare chi ha “valore” cioè “competenze”, “metodo” e “emozioni” da comunicare agli altri. E “valore” è deve essere qualcosa di prezioso, di raro, di poco raggiungibile, di “non per tutti” e di esclusivo: “democratizzare” cioè banalizzare ciò che si vuole vendere, cari “media company”, fatevelo dire da un indegno umile consulente, è scavare la fossa del proprio lavoro.