Il coraggio di restare di Grazia Lissi – Longanesi Editore

Il coraggio di restare

Il titolo di questo libro può trarre in inganno. “Restare”, per un’azienda non significa solo mantenere la produzione in Italia quando tutto ti dice che i costi sono poco competitivi, e la burocrazia insostenibile, oppure figli che raccolgono il testimone del fondatore, magari improvvisamente, e devono dimostrare di essere imprenditori, loro, che l’azienda la ereditano e non l’hanno creata con le proprie mani e cioè devono “restare sul mercato”, resistere alla tentazione di vendere, di cedere il timone a un gruppo interessato all’acquisto.

Anzi, è spesso il contrario: la mancanza di queste sfide, di difficoltà apparentemente insormontabili, di questi ostacoli imprevisti, è la ragione della vera crisi di molte aziende che non hanno l’occasione o il momento di svolta che ti obbliga a cogliere le nuove sfide e soprattutto a domandarti quali siano le ragioni profonde del successo di una idea imprenditoriale o di un prodotto in un dato momento storico.

Grazia Lissi è giornalista e fotografa, non è aziendalista o economista di impresa, e, forse per questo, riesce a darci un saggio sapientemente distillato di genuina analisi degli “spiriti animali”, della passione che porta persone anche senza formazione accademica a creare un vero e proprio mondo grazie alla spinta irresistibile della volontà di intrapresa, questa scintilla che accende una reazione a catena incontrollabile verso l’eccellenza nel mondo, verso la creazione del valore.

Questo mondo fatto di famiglie, di sogni, di progetti, di relazioni, di informazioni, di particolari per altri insignificanti, di dettagli sui quali costruire un vero e proprio nuovo modo di vedere la realtà, ribaltando spesso luoghi comuni come “si è sempre fatto così” oppure “non c’è spazio” o “i giochi sono fatti”.

L’imprenditore e l’azienda, emergono in questo libro come un binomio inscindibile più comprensibile come “la personalità di un essere umano e le sue intuizioni”, un personaggio creativo, soprattutto nella versione Made in Italy, in ogni aspetto anche delle relazioni umane con clienti, fornitori e collaboratori, che non segue la corrente, ma anticipa il cambiamento, ribaltando le regole ritenute ferree, e, spesso creando nuove regole che tutti gli altri non potranno che inseguire.

Quando gli italiani trovano odiosa una tassa, non c’è teoria accademica che tenga…

http://italians.corriere.it/2015/09/13/tasse-sulla-casa-gli-italiani-non-le-sopportano/

Tasse sulla casa: gli italiani non le sopportano

Caro Beppe, cari Italians, non si può certo eccepire nulla alla tua risposta a Walter Colzani (“Renzi e l’abolizione della tassa sulla prima casa” – http://bit.ly/1ESp6bW ). In tutta Europa c’è una tassa sulla prima, sulle seconde case un’imposta di proprietà, una patrimoniale a rate. E’ la prima che Renzi vuole abolire, l’imposta sulla prima casa di proprietà, quella in cui tutti noi anche i più randagi e vagabondi devono vivere. Vale 3.5 miliardi di euro. Qualcosa che certo non ha un peso rilevantissmo sui 1.600 miliardi di PIL come riduzione della pressione fiscale: 0,2%. Nomisma che certo è molto competente e rigorosa nello studio, ha chiarito che abolire quest’imposta non redistribuisce equamente il reddito, insomma 180 euro in un anno non cambiano la vita di una famiglia media, e si rischia di regalarne 10 volte a una famiglia ricca. Meglio tagliare imposte sui redditi bassi, meglio decontribuire il nuovo sano lavoro. Tutti d’accordo? I miei studi universitari di scienza delle finanze dicono di sì. Peccato che poi sono entrato per 25 anni nella realtà italiana, come consulente di piccole e medie imprese, delle libere e autonome professioni, dietro alle quali ci sono 8 famiglie su 10. L’equità è una bella parola. Ma parliamo della realtà: gli italiani non ragionano così. Gli italiani se trovano odiosa e insopportabile una cosa, sono capaci di fare lo sciopero dei consumi e francamente non so dargli torto: tassare la proprietà che uno non usa certo per fare l’immobiliarista, la prima casa, è stata in realtà una imposta sul reddito, poiché è con il reddito che si paga, soprattutto i ceti popolari. Ed è stato fatto in luogo di tagliare l’enormità degli sprechi. 25 miliardi di imposte, di cui 4 sulla prima casa, 2% del PIL, un bel fardello di imposte in più proprio all’inizio della peggiore recessione dal 1929. E qui non bisogna essere Lafferiani come il premier Israeliano all’Expo per capire che si è affamata la mucca che ci dava il latte, anzi abbiamo rischiato di mangiarcela tutta quell’unica mucca che abbiamo. Il nostro amato Paese

Expo…co inglese all’EXPO 2015!

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All’Expo 2015 ecco una delle eccellenze della produzione del made in Italy: il cioccolato.
Un po’ meno eccellente la traduzione in inglese: proprio non “pervenuti” sono questi Wild Barries.
L’improvvisazione e il pressapochismo italiano la fanno ancora da padroni ed è anche in queste cose che si trovano le ragioni profonde della stagnazione economica: il supporre di conoscere bene una lingua o che “il nipote” o “la cognata” laureati in lingue sappiano veramente essere autori di un testo.
Anche i traduttori professionisti e le agenzie di traduzioni sono parte dell’eccellenza del made in Italy che esporta: non era meglio usufuirne invece di fare certe figure?