Crisi del retail? Il Franchising continua la crescita, ma serve una nuova partnership e figure indipendenti.

Se paragonati ai dati dei settori del retail tradizionale, in costante calo, e sempre più eroso dal commercio elettronico, i dati del Franchising sono in controtendenza e in costante crescita.

Infatti 2009 i dati parlavano di 50 mila Franchisee, cioè punti vendita affiliati e cessionari dei diritti del franchise, 868 Franchisor e 200 mila occupati circa e un giro di affari di 24 miliardi circa. I dati più aggiornati, https://www.assofranchising.it/il-franchising.html#dati a cura di Asso Franchising del 2022 riportano una cifra di punti affiliati che raggiunge i 60 mila punti di vendita e un giro d’affari di quasi 30 miliardi, quasi 1000 Franchisor e 240 mila occupati.

I settori prevalenti sono sempre la GDO e l’abbigliamento anche se iniziano a farsi strada nel tempo settori del terziario avanzato, del food e dei servizi a valore aggiunto.

Interessante la crescita delle figure femminili nelle fasce di età più giovanili sotto i 45 anni, anche se resta una prevalenza nel complessivo di uomini (57%).

La tendenza generale quindi è quella di una riduzione della fascia d’età e un riequilibrio di genere, incentivato dalla possibilità offerta a giovani con un piccolo capitale di poter avviare una attività utilizzando un modello di business, quale il Franchising rappresenta, già studiato, provato, avviato e testato e disponendo di un vantaggio competitivo già presente, che richiede proprio un “partner distributivo” che conosca bene il territorio locale e la domanda e sposi il posizionamento del prodotto e del servizio.

Il caso classico è quello di persone sui 30-35 anni, i quali hanno già maturato esperienza nel settore dell’abbigliamento come commessi e responsabili di negozio o di piccole reti, oppure nella ristorazione in ruoli di contatto con il pubblico e che vogliano aprirsi la propria attività sfruttando le relazioni acquisite.

Vi sono anche figure giovani brillanti che appartengono alla grande distribuzione e a grandi marchi che non trovano opportunità di crescita professionale all’interno di grandissime realtà e che conoscendo le strategie di semplificazione e massificazione dell’offerta e di posizionamento dei big player intuiscano la presenza di nicchie non servite, di bisogni inespressi e di potenzialità conoscendo la particolarità dello specifico territorio, sempre un po’ frastagliata soprattutto in Italia.

Queste figure emergono spesso durante i colloqui di selezione con l’imprenditore franchisor o il promotore della rete per grandi organizzazioni che si avvalgono di figure professionali consulenziali specifiche, insieme al responsabile della rete franchising stessa.

In questi confronti con i potenziali franchisee, durante i quali avviene una presentazione della proposta, del vantaggio competitivo, (value proposition) della differenziazione, dei fattori critici di successo sia per il marchio/modello di business sia per il franchisee stesso, le parti si invertono ed è il Franchisee a fare un colloquio vero e proprio al Franchisor mettendo sul piatto le proprie competenze critiche e strategiche soprattutto, ma non solo, di conoscenza del mercato locale.

Non siamo più a venti anni fa, quando l’associato accettava passivamente il modello di business ed era una figura poco imprenditoriale e poco manageriale.

Ecco quindi che si impone la presenza di una figura consulenziale indipendente dalle due parti, al di là dei responsabili gestori e dei promotori di rete che sono espressione comunque del Franchisor. Lo studio costante (e non solo al lancio del Franchise) del modello vincente, il mantenimento di un rapporto equilibrato attraverso il continuo coinvolgimento (effetto abbandono), la partnership tra le due parti, l’analisi dei dati comuni per mantenere il vantaggio competitivo (feed-back dell’esperienza sul campo), il conto economico complessivo e del franchisee (catena di valore), i diritti di sfruttamento del marchio, le evoluzioni del mercato, l’impatto della digitalizzazione e della tecnologia, altre risorse comuni, sono tutti aspetti  in cui la terzietà del consulente strategico indipendente e il suo ruolo di project non sono requisiti dissimili da quello che vengono valorizzati nel retail tradizionale affiancando alle risorse imprenditoriali interne anche quelle professionali esterne.

Per chi volesse approcciarsi al Franchising, sulla materia sono stati scritti vari libri interessanti per farsi un approfondimento e in particolare consiglio quello del 2011 a cura di Giuseppe Bonani (per la parte di analisi della natura del Franchising, di avvio, studio, gestionale, organizzativa) e di Giovanni Adamo (per la parte giuridica contrattuale, Il Franchising: una formula di successo per la tua impresa – Franco Angeli sempre attuale per chi non conosca a fondo il Franchising come modello di business https://www.francoangeli.it/Libro/Il-franchising:-una-formula-di-successo-per-la-tua-impresa.-Come-creare,-lanciare-e-gestire-una-rete-di-vendita-in-franchising?Id=18823

Aggregazioni di Filiera: può un paese di trasformazione trasformarsi a sua volta?

Secondo i dati citati spesso dai grandi marchi, Il rapporto di dimensioni tra il brand o la capofila e la Supply Chain – filiera è molto sbilanciato: spesso si parla di due zeri!

L’Italia, si sa, è un paese di trasformazione, e la maggioranza delle imprese (78% degli occupati) è una Piccola e Media Impresa che lavora per altre grandi aziende fornendo soprattutto in modo più agile della filiera rigida Lean, servizi e lavorazioni industriali, fasi di produzioni, componenti e altro per grandi e grandissime aziende nazionali e multinazionali le quali quindi sono di fatto una rete di molte aziende satelliti.

Tutto questo comporta per quella che chiamiamo la capofila della rete di imprese un gap di competenze, capacità, un rischio di non omogeneità di fornitura, rischio di pesare troppo come fatturato sulla PMI, energie disperse per gestire una moltitudine di aziende medie e piccole.

Esiste anche un gap culturale tra la grande imprese, spesso managerializzata, informatizzata, digitalizzata e il mondo della PMI spesso vicino alla cultura della impresa familiare.

Per questi motivi si affacciano oggi sul mercato diverse aggregazioni di filiera, in particolare, ma non solo, nel settore della moda e del lusso, verticali e orizzontali al fine di fornire il prodotto chiavi in mano, dalla progettazione, prototipia, industrializzazione, componenti, alla costruzione del prodotto fino alla sua commercializzazione e vendita, promozione, comunicazione e anche modelleria, quindi Ricerca e Sviluppo.

E’ intuitivo come le dimensioni ridotte e la polverizzazione, in una parola il nanismo comporti diseconomie su costi fissi comuni, spesso generali ma anche indiretti relativi al costo di produzione che queste aggregazioni ottimizzano, ma vi sono anche altre aree in cui l’aggregazione porta economie a sinergie.Mi riferisco alla formazione specialistica professionale e delle competenze digitali, alla ricerca e selezione del personale, alla digitalizzazione dei processi e alla parte informatica, alla tracciabilità di prodotto block-chain, alla creazione di risorse comuni di Ricerca, Innovazione e Sviluppo prodotto e così via.

In recenti convegni i brand hanno confermato di apprezzare le aggregazioni della filiera la quale in questo modo non solo è più ricettiva ma, anche proattiva sui temi caldi, come la sostenibilità, la transizione energetica, il territorio ISF Carbon Neutral, l’artigianalità, l’aspetto storico culturale del made in Italy.

Per l’aggregazione di imprese, è più facile scovare, seminare e diffondere il talento perché l’obiettivo del Lean Supply Manager autogestita è di creare una rete di relazioni con aziende innovative e di talento  in modo più costante e intenso rispetto ai brand che è obbligato farlo in occasioni stagionali di confronto.

Come creare un gruppo verticalizzato, una aggregazione di processi, una rete di competitor su processi o progetti di proposta, value proposition, apprezzata dal mercato pur mantenendo la propria indipendenza e personalità? Quali sono gli aspetti giuridici, fiscali, societari, organizzativi e manageriali da prendere in considerazione? Come costruire la catena di delega e controllo attraverso strumenti di pianificazione e gestione? Il Consulente di Direzione Aziendale è la figura di aziendalista competente e esperta per affiancare l’imprenditore in questa scelta lavorando con i professionisti più idonei nel project management. Vogliamo parlarne?