Eataly in perdita: ma qual è il piano?

Eataly-NYC-Downtown-World-Trade-Center

La notizia che il bilancio 2018 di Eataly è in perdita gira per il web, spesso con la precisazione che la conseguenza è che la quotazione in borsa sarebbe rinviata per questo motivo.

Certo, se il piano è di quotarsi nel mercato azionario, l’azienda deve marginare e distribuire un dividendo.

E’ sufficiente questo per farci dire che sia una notizia negativa? Tutti i dati devono essere comparati rispetto a un parametro di confronto. Dipende quindi da quali siano i piani del management e della proprietà: quali erano i piani?

Se l’azienda apre nuovi punti vendita e conquista quote di mercato interessanti, può anche essere che sia meglio, a breve, investire e pagare meno imposte con la prospettiva di avere una presenza stabile e rilevante sul mercato. Nel 2017 il fatturato era cresciuto del 20% nel 2018 del 17% quindi la spiegazione potrebbe essere questa.

La leva fiscale può essere quindi una ragione, ma in tempi non sospetti all’inizio del 2018 commentando i dati del 2017, l’azienda aveva comunicato come obiettivo 2018 un fatturato di 538 milioni da 465 del 2017, quando l’utile era simbolico: 1 milione. Il consuntivo è 532 milioni: quindi l’azienda ha sostanzialmente centrato l’obiettivo.

Il piano di Eataly prevede entro la fine del 2020 di arrivare a 700 milioni. Fra un anno e mezzo, due esercizi, potremo valutare se è stato conseguito l’obiettivo.

Senza le informazioni, quindi, non possiamo esprimere giudizi e valutazioni.

Guardare il caso di Pittarello (come quello di Pittarosso) per capire: arrivati oltre 1000 dipendenti, fatturato cresciuto fino a 250 milioni di Euro, costanze presenza di perdite rilevate a bilancio e poi la proprietà, un fondo di investimento,  ha venduto a 5 volte il valore del capitale iniziale.

Il piano era quello di quintuplicare l’investimento in 5 anni: ed era un bel piano!

La maggioranza silenziosa non digitale compra. E molto!

Sono al monastero

Il rapporto annuale E&Y sulla digitalizzazione delle aziende italiane, EY digital manufacturing maturity index 2019, ci dice che solo il 37% delle PMI (contro un 75% delle grandi imprese) usufruiscono di incentivi alla digitalizzazione.

Vale la pena di ricordare che in termini di PIL, 7 aziende su 10 sono PMI in Italia e in termini di occupazione quasi 8 su 10.

A questo si aggiunga, lato BtoC, che solo il 19% degli italiani, secondo quanto riportato da Eurostat, ha competenze digitali sufficienti, quasi la metà della media europea.

La popolazione invecchia e la grossa parte del potere d’acquisto e del reddito è nella parte più anziana, e anche la ricchezza. Interessa a qualcuno?

Nonostante la rincorsa (spesso goffa) di piccole e medie realtà a fare E-Commerce a tutti i costi (spesso non tutti calcolati a priori) e ad abbandonare i canali tradizionali di vendita, tutto questo dovrebbe farci capire che c’è una buona fetta di mercato, nel BtoB e nel BtoC meno evoluto e che va, sì, gestito con l’organizzazione più efficiente, ma anche tenendo conto del processo tradizionale di acquisto del cliente/consumatore.

Questa fetta del mercato è raggiungibile in ogni modo: non è detto che non sia possibile vendere prodotti in modo innovativo e servizi a un “giovane anziano”, come vengono definiti i nuovi 60 enni, dinamici, sufficientemente digitali, giovanili anche nei gusti.

Ma gli utenti vanno sempre e comunque accompagnati e assistiti e non abbandonati a un call center o a un app sviluppata dalla bravissima società ITC.

C’è quindi una grossa fetta che segue comunque le leggi tradizionali del servizio di eccellenza, personalizzato, dedicato e tramite relazione umana anche per capire l’evoluzione dei bisogni e dare rassicurazione al nostro cliente, che spesso, in Italia e in Europa è cliente di prodotti e servizi ad alto valore aggiunto e non di commodities.

L’invecchiamento della popolazione porta con sé maggior tempo libero da dedicare ad attività di svago, per la cura della persona, sanitarie, terapeutiche e di socializzazione e, per ciò che riguarda anche i prodotti e servizi forniti alle PMI familiari, la relazione resta comunque nell’ambito del rapporto personale e flessibile di fiducia e fidelizzazione costruito nel tempo: questo è il vantaggio competitivo delle PMI! La digitalizzazione, quindi, deve aiutare a valorizzarlo non distruggerlo.

Mercato ce n’è, ma l’ultima cosa che deve fare una media azienda è gonfiarsi come la rana, imitare goffamente grandi e grandissime aziende (non avendo le stesse capacità, competenze, risorse ed economie di scala), pensando così di diventare più dimensionata.

Cercate la nicchia? Questa è una bella nicchia: chiamate il consulente di strategia aziendale e di posizionamento strategico del prodotto, e studieremo insieme come, dove e chi è il nostro cliente.