UK: sbagliano quegli imprenditori pro-Brexit

http://italians.corriere.it/2016/05/19/42361/

Oltre 300 imprenditori inglesi, come riportato dal “Telegraph” ( http://www.telegraph.co.uk/news/2016/05/15/eu-referendum-more-than-300-business-leaders-back-a-brexit/ ) in una lettera aperta sostengono la Brexit confutando le tesi dei favorevoli al “remain” circa i rischi di una uscita dall’Unione Europea. Le posizioni del quotidiano sono sempre state euroscettiche, e così anche quelle dei suoi lettori imprenditori. Non si tratta poi di imprenditori noti e influenti, ma appunto, essi accusano il fronte opposto di essere portavoce delle grandi aziende e della grande finanza. La lettera è molto asciutta: l’Europa genera solo burocrazia e vincoli, i paesi membri sono in declino economico e comprano sempre meno i prodotti UK, e la chiosa è molto chiara: “It is business – not government – which generates wealth for the Treasury and jobs for our communities”. Questa frase ricorda molto ciò che Ronald Reagan diceva circa il fatto che “lo Stato è il problema, non la soluzione”. Ma Reagan ha forse proposto l’uscita del Texas o della California dagli Stati Uniti o dal dollaro per risolvere i problemi dell’export americano di tecnologia che negli anni ’70 era stata stracciata dai giapponesi? Come la California ha negli anni ’90 ripreso la leadership tecnologica ormai è storia, e non opinabile. In queste settimane in Inghilterra si è sentito di tutto, compreso Boris Johnson che afferma che l’Italia ha perso l’industria automobilistica per colpa dell’UE. E’ vero il contrario: il gruppo FCA è diventato un player mondiale e mezzo nord Italia esporta in Germania tecnologia e componentistica automotive proprio ai tedeschi, al punto che l’export verso la Germania “made in Italy” sta superando quello tedesco verso il nostro paese. Ma per saperlo occorre documentarsi, studiare, analizzare, insomma tutte cose noiose e complesse meglio un bel no populista basato su paure e editoria di basso livello che vende pubblicità un tanto al click, questa volta quello dei Brexit.

 

Perché ce l’abbiamo tanto su con la cravatta?

– Oggi l’Italia detiene un indubbio primato nel campo delle cravatte grazie alle seterie di Como e alla dinastia napoletana dei Marinella. “La cravatta non deve essere un obbligo, una costrizione” afferma Maurizio Marinella, terza generazione e attuale titolare “deve essere un piacere. In determinate occasioni non si può non mettere e costituisce un segno di rispetto per chi ci sta attorno”. –

Alessandro Marzo Magno – Con Stile. Come l’Italia ha vestito (e svestito) il mondo. Garzanti Editore – 2016 –

La moda il settore storicamente trainante del Made in Italy, siamo l’eccellenza del mondo, abbiamo una storia e una cultura di secoli che ci permettono un vantaggio competitivo irraggiungibile, un settore che vale 10 miliardi l’anno, di cui le cravatte rappresentano circa 500 milioni di euro, ma allora perché ce l’abbiamo su con la cravatta, anche noi italiani? A sentire chi si occupa di risorse umane e il tam tam della rete, la cravatta è simbolo di costrizione, di ingessatura dell’organizzazione, di ambiente ostile alle risorse umane. E’ simbolo di frasi fatte.. immagini, o miti banalizzati o addirittura infantili come il contrasto tra capo (con la cravatta, vecchio, tradizionale, gerarchico, che ci dà del Lei) e il leader (ovviamente più casual, giovane, che motiva, coinvolge, informale, che gioca a ping pong o ai video giochi nell’azienda dove non regna il dress- code).

Ma è proprio così?

 

La cravatta, il dress code, la formalità nell’ambiente di lavoro sono solo una metafora forse? Oppure c’è una lotta contro un capo di abbigliamento a vantaggio di altri capi di abbigliamento? In molti comparti come la calzatura portando le nostre produzioni all’estero abbiamo permesso ad altri di imparare e portarci via quote di mercato. Ma qui il sospetto è che anche i 500 milioni di consumi in cravatte siano sotto attacco per essere dirottati altrove, su acquisti di abbigliamento o comunque di pura “decorazione” (la cravatta non ha una funzionalità o una utilità, se non di essere un accessorio aggiunto, è questa la sua forza).

 

Dopo esserci fatti fare le scarpe vogliamo farci fare… anche le cravatte?

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