Se fanno tutto l’ERP, la Business Intelligence e la AI, cosa fa il manager?

l’ERP – Enterprise Resource Planning è un sistema di software diversi disegnati per la pianificazione, il controllo, il governo e la gestione dei processi aziendali al fine di pianificare e assicurare decisioni per la migliore efficienza ed efficacia dei processi stessi.

Lo sviluppo più interessante degli ERP è l’integrazione dei vari software gestionali (progettazione, magazzino e gestione materiali e approvvigionamento,produzione, contabilità e finanza, business planning, CRM e commerciale, HR risorse umane) al fine di garantire un governo unico, coerente, e pianificato nei risultati aziendali.

Secondo l’osservatorio PoliMi e Assosoftware https://www.assosoftware.it/eventi-organizzati/inadagine-annuale-sul-mercato-dei-software-gestionali/ anche in Italia, come nel resto degli altri Paesi nel mondo si assiste a una crescita stupefacente del mercato di questi software al ritmo di quasi il 16% annuo soprattutto tra le PMI.

In questi ultimi anni sono entrate prepotentemente l’Intelligenza Artificiale (AI) e la Business Intelligence (BI) https://cedec-group.com/it/cedec-partner/business-intelligence che consentono sviluppi di potenzialità per raggiungere miglioramenti dell’efficienza e del grado di raggiungimento del risultato ottimale aziendale.

Ma se fanno tutto ERP, AI e BI allora cosa fa il manager?

I manager fanno quello che da sempre avrebbero dovuto o dovrebbero fare: non ricerca di dati, tabelle, analisi scostamenti, previsioni, report, ma selezione, formazione, gestione e motivazione delle risorse umane sugli strumenti, inclusi gli ERP. E ppi di conseguenza la creazione di progetti per il miglioramento leggendo i dati, gestione comitati di gestione della complessità, per l’innovazione di processo e di prodotto, di ricerca e sviluppo, per l’inserimento di nuove risorse umane e nuove competenze, così difficili da trovare, da mantenere in azienda.

I manager fanno… il cambiamento delle risorse umane e l’adattamento dell’organizzazione, perché la variabile umana è quella che la tecnologia non può e non deve gestire: forse sarà la volta buona che in molte aziende finalmente ci sarà la comunicazione tra Direzione e collaboratori, forse sarà la volta buona che si comprenderà che i manager devono avere eccellenti competenze relazionali oltre a quelle razionali.

Se la tecnologia della BI e della AI ci fornisce i dati per il controllo, e i dati “dentro ci sono tutti” ecco l’eccellenza delle qualità umane e psicologiche dei manager con i collaboratori perché il cambiamento e l’adattamento continuo è il futuro della competizione.

20 anni di pressione fiscale crescente, ma le entrate fiscali sono sempre le stesse

Negli ultimi 20 anni, dal 2003 al 2023 la pressione fiscale è passata dal 38,8% al 43,7% . La pressione fiscale è la percentuale sul PIL che lo Stato incamera come sommatoria delle imposte dirette sul reddito, sul patrimonio, indirette sui consumi. Il dato del 2023-2024 è previsto in leggero calo al 42.5% ma se il PIL non cresce (denomimatore) l’effetto rischia di essere ancora quello di un dato che non scende, anzi che torna al 43%.

A questa percentuale di pressione fiscale, quindi fa riscontro un ammontare di entrate fiscali di bilancio in Euro che nel grafico seguente ammontano a circa 750 miliardi nel 2021 cioè più o meno lo stesso importo del 2003.

Quindi in buona sintesi lo Stato ha aumentato del 15% la parte di ricchezza prodotta sottratta ai consumi e agli investimenti per ottenere lo stesso risultato di entrate. Ne è valsa la pena? No. Anche perché, il PIL è determinato anche dalla parte lasciata al contribuente per i consumi e all’azienda per gli investimenti, e non è una variabile indipendente dalle politiche fiscali.

Una analisi per tipo di imposta in particolare rivolta a imposte sui redditi separate dalle imposte indirette e su quelle sul patrimonio confermano questa invarianza nonostante si sia alzata la pressione fiscale.

Inoltre, l’errore di considerare le imposte sul patrimonio più certe è già stato commesso durante il governo Monti, con l’IMU sulla prima casa, poiché le imposte sul patrimonio si pagano con il reddito, quindi di fatto sono imposte sul reddito e quindi regressive come l’aumento della pressione fiscale sopra illustrato, cioè che non porta aumenti di entrata in bilancio sia in complessivo che nelle singole imposte.

Anzi a ben vedere i dati, le imposte indirette (IVA) e i contributi hanno tenuto su le entrate fiscali ed è noto che non dipendono dal reddito, quindi sono meno redistributive.

Un altro dato che conferma i dubbi, è il dato storico ISTAT sul sommerso, https://www.istat.it/it/archivio/sommerso passato dal 2003 al 2022 (ultimo dato disponibile) dal 18,3% al 10,5%: dunque “pagare tutti per pagare di meno” non è stata la politica, visto che nello stesso periodo la pressione fiscale è salita dal 38% al 42-43%.

Al di là di effetti annunci, tagli a scadenza del cuneo fiscale, flat tax, è il totale delle entrate del bilancio pubblico che derivano da tasse applicate a cittadini e imprese sulla ricchezza che questi producono è il vero misuratore di quanto la politica economica – in particolare fiscale – di questo governo sarà o meno differente da quelli che lo hanno preceduto.

gianluigi@gianluigimelesi.com