Quando il consulente dà il voto all’azienda

Un po’ tutti i professionisti e anche, in senso ampio le aziende, utilizzano le referenze, scritte e pubblicate sul proprio sito internet, o segnalate anche solo come nominativo citato, per attestare ai potenziali nuovi clienti imprenditori la propria competenza ed esperienza nelle attività di cui si occupano.

In questo modo l’azienda che si avvale di una collaborazione, nel mio caso nel campo del project management, attraverso uno o più temporary manager o consulenti di direzione aziendale può essere più confidente nello scegliere di farsi affiancare da figure con preparazione adeguata in un progetto di riorganizzazione o ridefinizione voluto.

Un progetto di riorganizzazione aziendale può essere legato, vuoi, più semplicemente, all’implementazione della struttura organizzativa, alla formazione manageriale, allo sviluppo di competenze e strumenti evoluti per prendere decisioni; vuoi anche, nei casi più complessi, a temi critici come la ridefinizione della strategia aziendale, l’ingresso di un fondo o di un socio, il passaggio generazionale, l’inserimento di un management come soluzione per dare continuità al business aziendale, la valutazione di azienda e in genere le operazioni straordinarie di M&A.

Al termine del percorso l’azienda esprimerà la propria soddisfazione per l’attività svolta dagli aziendalisti coinvolti nel team (spesso allargato ai professionisti societari, avvocati di impresa, tributaristi, consulenti del lavoro e via dicendo), evidenziando i risultati raggiunti e confrontando il percorso con le aspettative.

In tutti questi casi sopra esemplificati, l’attività vera e propria viene preceduta, nell’ottica della qualità del servizio altamente professionale, da una fase di definizione dei bisogni che viene evidenziata in una diagnosi di tipo strategico per la presa di coscienza delle motivazioni e degli strumenti a disposizione.

Il manager o consulente aziendalista non è un notaio o qualcuno che da fuori porta soluzioni tecniche, cambi di clima organizzativo, coaching, mentoring o in generale metodologie manageriali preconfezionate o comunque chiavi in mano, magari accettate, ma non comprese fino in fondo dalla proprietà aziendale.

Al contrario questi strumenti e queste visioni, queste “strade per la crescita manageriale” devono essere fatte proprie dal capitale umano aziendale, dalla proprietà, dal management e dai collaboratori tutti che ci devono credere fino in fondo e devono mettersi in discussione.

Ecco allora che alla fine del percorso, il consulente team leader della squadra di aziendalisti che ha lavorato al caso aziendale è in grado certamente di esprimere a sua volta un giudizio sul grado di raggiungimento degli obiettivi tipicamente “immateriali” di crescita del capitale umano, delle competenze di gestione delle risorse umano, di motivazione dello stesso, al grado di adesione all’identità aziendale, alla gestione dei conflitti e al “coraggio” di affrontare le incomprensioni, e in generale alla motivazione d’essere sul mercato dell’azienda, risultati spesso “percepiti”, “sentiti”, “avvertiti” con stati d’animo, più che misurati con scale semantiche o razionali, ma non meno importanti.

Questi obiettivi più “immateriali”, si affiancano naturalmente a quelli più razionali, concreti e misurabili: esemplificando, il nuovo ERP è proattivo e permette la gestione per eccezioni senza necessitare di perdersi nei numeri; il nuovo CRM è integrato, seguito in modo tempestivo, dà analisi ma anche diagnosi, consente di fare budget affidando obiettivi; la Business Intelligence assolve tempestivamente ai compiti della nuova normativa che prevede strumenti evoluti in azienda per la gestione del rischio; e via dicendo.

Ne sono però il completamento, il senso e la lettura più profonda per orientare i comportamenti quotidiani e ridurre al minimo tempi delle riunioni, le discussioni sui “sarà” “per me” “ogni volta”.

In due parole: i comportamenti organizzativi si sono evoluti? Sono orientati al risultato, sono supportati da processi basati su dati e informazioni in tempo reali e ben profilate? C’è la sensazione che il bambino, il ragazzo ora è un adulto che non si perde in polemiche, gelosie e chiacchiere? Che è conscio di come si comportava in modo inadeguato prima? Oppure: il mercato, il consumatore, il cliente, il mondo è cambiato, vogliamo cambiare anche noi e prendere il coraggio a due mani senza paura, senza rendite di posizione, e zone di conforto? Bene tutto questo è un passo avanti, una crescita che il consulente attesta all’imprenditore, al manager, ai collaboratori una volta coinvolti nel nuovo modo di fare impresa.

Ma c’è molto altro che l’aziendalista, il consulente o manager ad interim può attestare, quale sia un po’ un visitatore che vede l’azienda da fuori, dall’alto, ma anche dal basso (spesso dal basso, lato collaboratori, da fuori, lato mercato, concorrenza, mondo esterno che si evolve), che dà un giudizio terzo e obiettivo non sono contestuale ma con una visione di lungo periodo, di strategia organizzativa.

Per essere fino in fondo obiettivo questo giudizio deve comprendere alcuni aspetti critici, per esempio:

  • Se con il progetto abbiamo apportato valore è innanzitutto dato dal fatto di non aver più bisogno su quel tema di acquisire queste competenze dal consulente e questa crescita acquisita: “quando si diventa più grandi non si torna indietro, camminiamo con le nostre gambe”.
  • Se la proprietà ha dato fiducia al consulente anche se all’inizio non disponeva inevitabilmente tutti gli strumenti per valutare fino in fondo il valore del progetto riorganizzativo, ora ha preso completa padronanza della metodologia e delle competenze apportate, le fa proprie, inclusa la necessità di verificare costantemente il modello organizzativo: “sono io ora il consulente in azienda che rimette tutto costantemente in discussione, non siamo un ministero e l’azienda è una cosa viva e la strategia più vincente è l’adattamento
  • Se all’inizio proprietà, dirigenza, management, figli e parenti in azienda, soci erano un po’ un tutt’uno, ora si comprende come i ruoli, gli strumenti, le metodologie sono definiti dall’organizzazione e dai processi, ed esiste un livello di decisione e gestione che si prende la responsabilità e deve avere le deleghe per raggiungere i risultati, misurati rispetto a strumenti e misuratori pianificati, cioè alla base della delega: “il vero capo dell’azienda sono gli strumenti per scaricare a terra e realizzare una strategia di mercato definita: comandano le procedure, comandano gli obiettivi, non le persone”.
  • Se l’azienda prima era un po’ slegata, senza raccordo tra le varie funzioni, con “buchi” nei gestionali, poca o non completa integrazione dei dati, con necessità di continuo intervento della proprietà per “chiudere i buchi”, magari a volte risolvendo un problema, ma creando inefficienze, priva di un comitato di gestione che costantemente garantiva la gestione armonica e consapevole, ora la proprietà, il management, i responsabili e i collaboratori hanno una visione di insieme: “l’azienda non è la mia o la tua scrivania, è un corpus unico e deve essere gestito in modo corale e consapevole”.
  • Se l’azienda ha compreso di non poter essere leader di mercato con ingenti risorse finanziarie, saprà anche che perderà tutte le battaglie sul prezzo più basso da offrire al cliente e se è così, l’imprenditore capisce fino in fondo che deve continuamente costruire la propria nicchia, quota, parte del mercato dando valore al cliente, personalizzazione, servizio, diversificazione e innovazione, studiando gli errori dei manager dei big del settore che tendono a massificare, imporre al cliente e standardizzare la strategia: “dobbiamo essere i primi a conoscere a fondo il mercato, dobbiamo essere unici e diversi, dobbiamo essere la soluzione a un problema del cliente.”

Questi sono solo alcuni degli esempi dei “voti” che sommessamente, spesso con molto pudore e rispetto per chi rappresenta spesso una storia e un’eccellenza sul mercato per altri aspetti, un manager in affitto, quale il consulente è, attribuisce all’imprenditore e ai suoi collaboratori, i quali restano al centro del valore della trasformazione poiché senza una presa di coscienza nessuno, tantomeno da fuori, può imporre il cambiamento.

gianluigi@gianluigimelesi.com

I business one shot modello per gestire costantemente il vantaggio competitivo

Il comportamente speculativo a breve termine spesso insegna più di quanto ci si immagini.

Si parla spesso di Start-Up come modello da seguire costantemente anche per aziende storiche e affermate, che devono presidiare un vantaggio competitivo consolidato per non sedersi sugli allori. In effetti una start-up, cioè una nuova iniziativa imprenditoriale richiede tipicamente alcune riflessioni fondamentali da mantenere nel modello di business anche in aziende già consolidate:

  • Come ragiona oggi il mercato per la soddisfazione di un determinato bisogno e come viene misurato il valore dell’offerta attuale, con quali modelli, algoritmi, logiche per il cliente
  • Quali sono le innovazioni di tecnologia, servizio, perimetro del prodotto e catena del valore che la nuova iniziativa garantisce per “sparigliare le carte” e quindi come ridefinire domani il mercato/settore/prodotto stesso
  • Come reagiranno gli attuali competitor per riprendersi le quote di mercato, e impedire con barriere all’ingresso, taglio dei prezzi, azioni per mettere in difficoltà i clienti e quali sono le difese a tali contro offensive previste e prevedibili

Esiste anche un altro tipo di iniziative imprenditoriali che può fornire diversi spunti interessanti, e in particolare quelle legate a eventi unici e non ripetuti (convegni, fiere itineranti, concerti), a manifestazioni sportive legate al territorio (gare ciclistiche come i grandi giri, Olimpiadi) oppure culturali (per esempio la ricorrenza legata a una città per un anno eletta a città della cultura) e altri esempi simili.

Si tratta di aziende cosiddette one-shot che nascono, si realizzano e si sciolgono nell’arco temporale limitato di poche settimane o, addirittura, pochi giorni.

Questa tipologia di business, che può diventare anche l’inizio di start-up che istituisce un appuntamento sul calendario che non c’era e poi riesce a mantenere una clientela costante, per esempio le sagre enogastronomiche, oltre alle caratteristiche sopra indicate, hanno alcune specificità molto interessanti:

  • Lo  studio dell’ambito locale o contestuale come un fermo immagine, ricerca di geomarketing cioè la conoscenza del territorio, della popolazione, della cultura e degli stili di vita e di consumi locali, in un determinato momento, con collegato lo studio della ricettività turistico alberghiera, il calendario degli eventi attuali, la stagionalità, e altri fattori puntuali
  • La collaborazione strategica con le autorità e amministrazioni locali che spesso sono uno dei “clienti” di tali eventi usando fondi pubblici specifici nazionali o locali, quindi il chi fa cosa e per chi.
  • L’integrazione con gli attuali gestori del turismo che continuano ad avere voce in capitolo prima e dopo l’evento che richiede di “ricavare uno spazio” nel consueto calendario.

Nel business one-shot e se volete nelle logiche del short-term viene massimizzato l’utile a breve termine laddove si concentrano i ricavi che devono subito superare i costi e le risorse utilizzate. I comportamenti quindi sono tipicamente finalizzati a tattiche incisive con riscontro immediato, e a una analisi di sostenibilità immediatamente di effetto, e meno alle strategie tipicamente di lungo periodo del lancio di un brand.

La cosa interessante è che in realtà, spesso, questi comportamenti dello “short-termismo” hanno rilievo e interesse anche in una azienda e un business in particolare a lungo termine e in particolare:

  • I costi sono certi, i ricavi incerti: nel breve termine opero con un taglio dei costi mettendo in sicurezza il conto economico producendo a breve l’effetto di sfruttamento al massimo delle eventuali risorse sovradimensionate e il taglio degli sprechi.
  • L’effetto nel medio termine è potenzialmente di mettere sotto stress la soddisfazione del cliente, quella dei collaboratori e in generale l’immagine aziendale di affidabilità o prestigio.

Il risultato di questa combinazione è positivo nel breve termine e questo profitto assicura risorse per adattare e aggiustare progressivamente le risorse necessarie ai risultati e non viceversa.

Inoltre l’esaminare qui e ora la fattibilità obbliga alla concretezza misurabile e assicura un minore rischio di incorporare nel business plan dell’iniziativa una sorta di wishful thinking su evoluzioni e previsioni.

Il business  orientato al breve termine è stato oggetto di severe critiche soprattutto in occasione di fallimenti di note società che non hanno saputo essere reattive di fronte alla trasformazione di lungo periodo e hanno perseguito rigidamente il profitto speculativo a breve termine ignorando il baratro che si avvicinava.

In realtà sono proprio le aziende che gestiscono nel brevissimo tempo il risultato legato a un evento o ragionano a brevissimo termine che insegnano molto a gestire entrambi i piani di valutazione senza eccedere nell’idea del lungo termine – che comporta un rinvio continuo del ritorno dell’investimento o della misurazione costi benefici, ma neanche nel breve termine, che comporta una visione speculativa della relazione con il cliente.

Se immaginiamo come strategica la relazione con il cliente il mix ideale è:

  • Valutare la cosa più importante: i miei concorrenti, spesso leader di mercato, quanto sono rigidi e reattivi? Posso sottrarre quote di mercato specifiche senza/prima che se ne accorgano e che reagiscano?
  • Dare al cliente costantemente un sistema prodotto / servizio chiaro e misurabile con un costo accettabile per l’azienda e un valore misurato come giusto per ciò che a lui serve senza sovrabbondare nelle risorse utilizzate per generare il prodotto e servizio.
  • Trovare il giusto equilibrio tra il fornire un prodotto/servizio standard rigido e uno personalizzato e ogni volta su misura evitando di svilire il valore del servizio e il costo per questo modello organizzativo dato dall’ossessione di strafare
  • Misurare costantemente a breve la soddisfazione del cliente e poi puntualmente e periodicamente con una relazione verso il cliente sempre viva e aggiornata adeguando il mix offerto

Non esistono, come sempre nell’economia aziendale, ricette precostituite: agli estremi ci sono business tipicamente costruiti sull’avviamento di marchi e immagine a lungo termine dove atteggiamenti speculativi distruggono valore, opposti a business tipicamente speculativi e a breve termine che massimizzano comportamenti di arbitraggio a brevissimo tempo, per esempio un posizionamento asimmetrico di mercato ritenuto eccessivamente distante tra domanda e offerta.

Le rendite di posizione sono tipiche di quest’ultima casistica: per anni studi dentistici tradizionali in Italia hanno goduto di profitti alti poiché la concorrenza non esisteva. La presenza di catene è stata introdotta proprio sulla base di questa considerazione con una tattica aggressiva di erosione dei margini.

Lo stesso sta avvenendo nel settore dei servizi funerari o in quello delle farmacie sulla base di un piano progressivo di acquisizioni da parte di aggregatori.

Qual è allora la mia strategia, quale la mia tattica giusta come azienda?

Scrivetemi e la studieremo insieme: gianluigi@gianluigimelesi.com

Ha vinto Trump: la laurea non serve a nulla?

Il mercato elettorale e quello dei beni di consumi hanno molto in comune, più di ciò che non si pensi: demonizzare l’elettore della provincia poco scolarizzato, pragmatico, egoista è sempre fatale.

I dati analitici dei flussi elettorali arriveranno in dettaglio tra qualche mese, ma già si può ragionare su moltissimi spunti che l’elezione di Trump ci fornisce dal punto di vista della mappatura del mercato.

Trump ha preso molti voti anche negli stati laddove ha perso nella gara per aggiudicarsi tutti i grandi elettori e tali voti sono stati utili a vincere le elezioni al Congresso e il voto popolare: come per le aziende quindi è la somma delle singole nicchie che conta e più sono le nicchie create, maggiore è la consistenza complessiva.

Decisivi a quanto sembra sono stati non più di 1,5 o 2 milioni di elettori distribuiti su 7 stati cosiddetti “fly-over” della provincia in cui i due candidati erano vicini nei sondaggi: il lavorare sul mercato in modo specifico non solo da città a provincia, ma anche nei singoli distretti all’interno delle stesse province con un geomarketing molto accurato che tenga conto della geografia economica e fisica paga e ha sempre pagato.

L’errore classico dell’azione sul mercato (elettorale in questo caso) è sempre stato quello di cercare una formula unica: nei mercati dei prodotti e servizi lo può fare solo il leader di mercato che abbina questa strategia massificata a quella di schiacciamento dei prezzi.

La segmentazione psico sociale dell’elettorato è altrettanto importante, gruppi sociali, etnici, le fasce di età, ma non solo: laddove è favorito l’avversario comunque cercare sempre e sempre chi vuole distinguersi, differenziarsi e sentirsi diverso con orgoglio proprio dai coetanei, da concittadini, dai compagni di scuola, dagli altri in una parola.

Per chi conosce il libro di De Amicis potremmo chiamarla la “strategia di Franti”.

Si tratta del consumatore disobbediente, discontinuo, umorale, infedele che spesso è più raggiungibile del consumatore ossessionato da “valori” e “coerenze” in modo dogmatico che è difficile “tenere insieme” un po’ come nella battuta classica che potremmo parafrasare in “due democratici, tre opinioni”

Usare i social? S’ anche, ma se si analizza bene a fondo: comizi non è certo venuta meno la macchina tradizionale delle elezioni americane, raccolta fondi, organizzazioni locali, comitati in ogni settore, categoria professionali o lavorativa.

 Il nuovo non soppianta mai il vecchio, la società è fatta di stratificazioni il mezzo non è mai neutro nella comunicazione.

La demonizzazione del potenziale cliente è la morte del marketing, anche elettorale. Mai mettere platealmente l’elettore contro l’altro elettore, ma dare a ciascuno l’impressione di identificarsi. La coalizione democratica, generalista, è troppo vasta ed è andata in contraddizione. Diritti sociali contro diritti civili hanno ingenerato confusione. Il messaggio deve essere chiaro, nitido, semplice, di comprensione immediata e diretto: Trump ha vinto sul taglio alla spesa e alle tasse, sull’immigrazione, sui dazi e le politiche industriali. Gli altri temi sono stati marginali.

L’elettore indeciso medio provinciale è poco scolarizzato: dare ascolto a questa che non è affatto una nicchia piccola, farlo sentire parte di una piattaforma, non demonizzare il suo modo di vedere le cose per quanto sia poco preparato, in contraddizione, la sua visione per quanto incoerente o egoista (ammesso che sia un difetto) sia. Non ha mai portato bene nel mercato non di lusso dire “tu no” o “tu non capisci niente”.  

La realtà del mercato e il punto di vista del consumatore vanno sempre accettati per come sono ed è proprio obiettivo e capacità di chi ha una scolarizzazione alta quello di riuscire a comunicare con chi non ne ha, tra i dipendenti di un’azienda, tra i clienti e tra gli elettori. Se hai imparato qualcosa all’Università deve essere questo, non teoremi.

E’ la somma che fa il totale diceva Totò: e mai come in questi casi il motto è indovinato.

Ogni mercato va studiato a fondo e le aziende con concorrenti più forti sui prezzi e finanziariamente potenti, devono moltiplicare sforzi e coltivare competenze elevate eccellenti di ridefinizione del mercato attraverso la segmentazione e una nuova catena del valore: vogliamo farlo insieme? Contattami: gianluigi@gianluigimelesi.com