
Il CFO ha sempre torto. Ovvero: perché un leader razionale può essere fatale in un’azienda.
Ve lo dice uno che l’ha fatto per oltre 10 anni: in azienda il CFO ha sempre torto, anche quando ha ragione.
Non parlo qui del ruolo in sé del CFO, che riassumo nella descrizione dell’obiettivo della propria mansione e cioè occuparsi di: strategia finanziaria, pianificazione economica, budget e analisi dei processi, analisi del rischio, contabilità e amministrazione, tesoreria, gestione fiscale, controllo di gestione e report sull’andamento economico finanziario, rispetto dei principi contabili e gestione, selezione, formazione delle risorse umane all’interno della funzione AFC, Amministrazione, Finanza e Controllo.
Tutti questi compiti, ruoli e obiettivi della funzione AFC non sono in discussione, ma comunque ha torto.
Come è possibile? E’ possibile poiché il CFO è, di fatto, oggi, il data manager, cioè la funzione di staff, quella consulenziale di chi presidia le grandezze attraverso le quali rappresentiamo per mezzo di strumenti conoscitivi (CRM, ERP, MRP, etc) l’andamento della nostra azienda; e qualsiasi dato non ha alcun significato in sé, se non visto alla luce del sistema prodotto e servizio, della strategia organizzativa e di mercato, della catena del valore del prodotto e dell’azienda dell’azienda e da tutta una serie di aspetti che hanno a che fare con la leadership relazionale.
Cosa fa il CFO? Oggi, abbiamo detto, è lui il data manager, chi deve analizzare la natura dei numeri, la lettura, i misuratori di efficienza e di efficacia, le relazioni tra le diverse grandezze, il grado di raggiungimento del risultato, il rischio, il mercato, il cliente, la tecnologia.
E spesso lo fa nascosto dietro alla propria scrivania, in modo impietoso, asettico e razionale.
E’ corretto? Sì: è corretto che lo faccia, abbiamo bisogno di un uomo (o una donna) razionale, cinico, che ci tiene con i piedi per terra, che ci restituisce una realtà misurata da confrontare con la realtà immaginata e prevista. Tutto questo è per l’azienda, ciò che per l’essere umano è mangiare, bere e dormire. Necessario? Certo! Sufficiente? No di certo, anzi, spesso fuorviante e fatale: le aziende non falliscono perché non hanno più liquidità. Non hanno più liquidità perché non hanno più una strategia vincente sul mercato e con il cliente, da cui si sono allontanate in modo irreversibile.
Possono essere in perdita le aziende con una strategia vincente? Certo che sì: tutto dipende dalla strategia, dal piano e dal percorso di creazione di valore. Ecco un esempio: https://gianluigimelesi.com/2019/01/16/quando-investire-in-perdita-e-guadagnare-e-possibile/
E’, infatti molto pericoloso avere una leadership solo razionale, già a partire proprio dai compiti meramente del CFO all’interno della propria funzione: chi conosce concetti di opportunismo organizzativo, distorsione della percezione del budget, zona confort, e altri comportamenti organizzativi legati alle strategie personali di carriera, sa bene di cosa parlo. E non siamo ancora usciti dall’ufficio del CFO. Se parliamo della gestione complessiva aziendale, della leadership relazionale (e non solo razionale), della costruzione dei team, della cultura organizzativa, dell’identità aziendale, del lavoro di gruppo, ecco cosa NON deve fare il CFO.
Cosa NON deve fare il CFO:
- Non mettete il CFO a gestire le relazioni con i clienti: anche se pagano in ritardo, anche se si tratta di definire condizioni generali di fornitura, garanzie o aspetti fiscali legati all’attività tipica dell’AFC, il CFO non deve avere alcun contatto e relazione commerciale. Se ne occupi il commerciale prima e poi l’ufficio legale interno ed esterno per il recupero del credito.
- Non mettete il CFO a gestire le risorse umane: il CFO riduce le relazioni organizzative a numeri, tende a misurare ore, giorni, chilometri, Euro, numero di collaboratori, come se fossero tutti uguali gli uni agli altri e non in relazione alla catena del valore del prodotto-servizio, al know-how aziendale e al vantaggio competitivo con il cliente.
- Non mettete il CFO a misurare il valore di funzioni quali Marketing, Pubbliche Relazioni, Ricerca e Sviluppo, Formazione delle Risorse Umane: un’ora di costo in più investendo sulle competenze e sull’autostima dei collaboratori, può valere milioni, mille ore di ricerca non portano a nulla, un’ora può portare al vantaggio competitivo di anni, e questo nei numeri non c’è.
- Non mettete il CFO a misurare le relazioni causa-effetto perché spesso il CFO ragiona con il futuro, nel fare previsioni, proiettando il passato, il che è decisamente sbagliato nella gestione dei rischi e del capitale umano. Il CFO spesso confonde la causa con l’effetto (le aziende falliscono perché non hanno liquidità), l’obiettivo con i mezzi per raggiungerlo, il misuratore, l’unità di misura, con il grado di raggiungimento del risultato, le persone con i numeri.
- Non mettete il CFO a misurare le cause degli scostamenti della produttività delle persone poiché non è in grado di comprendere concetti come emotività, alienazione, giochi di ruolo, strategie personali di carriera, opportunismo e tende ad eliminarle ignorandole, e a banalizzarle.
- Non mettete il CFO a fare il leader, poiché il CFO non è un leader: non ha capacità empatiche, non riesce a mettersi nei panni degli altri, non ha capacità di motivare gli altri partendo dalle loro motivazioni, ma solo dalle proprie.
- Non mettete il CFO a valutare il ruolo dell’esperienza in una strategia aziendale poiché il CFO è spesso convinto che la formazione universitaria sia tutto e il CFO spesso è “intercambiabile” da un settore all’altro e questo porta ad assorbire poco le esperienze in vari settori, contesti, mercati.
- Non mettete il CFO a gestire il cambiamento: per formazione, mentalità, aspirazione e postura il CFO è rigido, tende a ripetere all’infinito i modelli di analisi e a a razionalizzare tutto: è poco incline all’adattamento, all’incertezza, agli ostacoli, ai comportamenti irrazionali e a tutto ciò che non è misurabile, conoscibile, razionalizzabile.
- Non mettete il CFO a fare il mentore: il mentor è un compagno di viaggio, dalla lunga e variegata esperienza interdisciplinare e professionale, dalle elevate capacità psicologiche e di relazione umana che sa ascoltare, affiancare, formare, accompagnare, insegnare e imparare, parlare e crescere, senza alcuna pretesa di imporsi o dirsi meglio di colui che affianca.
Naturalmente questo articolo provocatorio: la stragrande maggioranza dei CFO grazie a una maturazione sul campo dispone di esperienza, spessore umano, interdisciplinarietà, competenze trasversali.
Come diceva l’Ingegner Francesco Gambino, uno dei fondatori della Consulenza di Direzione in Italia negli anni ’80 e mio mentore: “Il CFO inizia ad avere una ragione d’essere nell’Alta Direzione quando, per la prima volta nella sua vita lavorativa, ha capito di avere torto, nonostante i suoi numeri gli diano ragione.”
PS: lo stesso ragionamento possiamo farlo con il Direttore della Produzione, Chief Production Office, con il Direttore Commerciale, o con altre figure apicali: la forza dell’azienda è proprio quella di avere un team vincente in cui “la contaminazione” di competenze tra le varie funzioni fa crescere la capacità del team di Direzione di gestire le complessità e anticipare le evoluzioni del mercato.