Unknown's avatar

About Gianluigi Melesi

Linkedin: https://www.linkedin.com/in/gianluigi-melesi-35089216/ Strategic Top Consultant and researcher https://www.cedec.it/ - Consulente, Formatore e Ricercatore manageriale. Teacher & Traning (MBA, Management Training, Business Coaching) https://www.linkedin.com/school/unicatt/ CEO, CFO, HR and General Manager Manufacturing & cross-industry experience Communication skills – Professional translator in my field Multi cultural & Multi Language working skills Team Management working skills. International experience: export Manager. Italian Association of Linguistic Services: Member of the Council http://www.federlingue.it/ Autore del libro - Author of the book: "L'impresa Calzaturiera" https://editricesanmarco.it/catalogo/l-impresa-calzaturiera-3-l-organizzazione/

Oltre gli steccati tra Manager Cooperativi e Manager di Impresa

Un interessante testo di Alessandro Messina ci ricorda che qualunque sia la compagine societaria e il settore profit, non profit o low profit di appartenenza, le organizzazioni sono fatte soprattutto di persone.

A pagina 92 di questo lavoro, ci si imbatte in un breve elenco che qualifica i comportamenti mirati alle relazioni di valore di un manager cooperativo:

  • Parlare con franchezza da chi è in alto nella gerarchia superando le ipocrisie dei meccanismi di potere
  • Ascoltare con attenzione anche evidenziando quando non ci sono le condizioni per farlo superando la retorica della porta aperta
  • Esprimere tra pari con i superiori e con i collaboratori le proprie esigenze senza remore, con onestà intellettuale per dare a tutti il modo di esprimere le proprie opinioni
  • Tenere in considerazione le esigenze di tutti i collaboratori e degli interlocutori
  • Coinvolgere, motivare, incoraggiare e responsabilizzare le persone

Verrebbe da pensare che si tratti di un manuale di gestione di un’impresa privata mirata al profitto, ma in fondo esiste questa differenza nella gestione del capitale umano?

Il contributo di Messina parte da una disamina storica, e già questo rende molto interessante e utile la lettura: ricordare la storia e l’evoluzione di ciò che è stata non solo la cooperazione, ma tutta l’economia industriale italiana aiuta a comprendere questo tipo di organizzazione che ha cercato di trovare il proprio spazio tra ideologie contrapposte, e le istanze che ha portato avanti.

Nella storia più recente del dopoguerra dopo l’affermazione come terzo settore stabilmente presente in modo rilevante tra le aziende pubbliche e quelle private fino agli anni ’80, si affronta anche la fase degli scandali, delle crisi finanziarie, degli arresti e dei clamorosi episodi tra anni ’90 e anni 2000.

Ma l’autocritica intellettualmente trasparente e profonda non si limita ad additare errori adebitabili a comportamenti paradossalmente più spregiudicati e autocratici del settore cooperativo rispetto a certi corsari capitani dell’industria e della finanza privata: essa va al profondo della questione, al modello di impresa, alle relazioni e al capitale umano, alla natura e alla ragion d’essere dell’impresa cooperativa, al solidarismo, alla mutualità.

Si tratta di pagine scritte, lo ripeto qui, ma va detto, con competenza e onestà intellettuale rispetto alla natura umana utilitaristica ed egoista, negando la quale si commette un errore grave nelle organizzazioni sociali, poiché è proprio partendo dalla quale che bisogna mirare alla crescita culturale di valori solidaristici dei membri dell’organizzazione stessa, che sia una cooperativa o un’azienda a capitale privato.

Perciò si tocca il punto interessante: anche l’azienda cooperativa è, appunto una azienda, e ha bisogno di un modello di impresa che funzioni e di manager che lo gestiscano in modo efficiente e portino avanti le strategie sul mercato e questi non sono molto diversi dal manager dell’azienda a capitale privato.

Ma è sempre qui che inmodo interessante si può ribaltare la questione: quale valore possono dare alle aziende a capitale privato la storia, il modello e l’esperienza, le competenze maturate nel mondo cooperativo? Se è vero che una sana dose di managerialità nel mondo cooperativo, di razionalità, di accountability non possono e non devono stravolgere l’obiettivo e la natura stessa di cooperatività e utilità sociale del modello cooperativo, quali valenze solidaristiche e cooperative devono e possono essere considerati nell’intero panorama dell’intrapresa in Italia?

I contributi sono molti e interessanti e invito alla lettura degli stessi nei due ultimi capitoli, 4 e 5 del libro di Messina. Il fatto stesso che sempre più imprese adottano la forma della B-Corp e della Società Benefit, allargando i benefici dei risultati all’impresa ai collaboratori, ai fornitori e clienti, all’ambiente e alla società in cui pulsa l’attività dell’impresa, a livello locale e nazionale, dimostra molti di questi temi.

E ancora: il manager che si chiude in una stanza a “fare tabelle” anche in aziende a capitale privato verrà inevitabilmente debellato sempre più dai modelli di intelligenza artificiale, ma già ora deve uscire dalla propria stanza e costruire relazioni, modelli di collaborazione, di condivisione degli obiettivi sociali, della strategia, della stessa ragion d’essere dell’azienda, la sua identità, il suo marchio identificativo sul mercato e nella società.

E’ il manager che lavora per i collaboratori aziendali e non viceversa: è questo vale per tutte le aziende. Deve essere mentore e coach dei propri collaboratori stretti e trasmettere loro l’obiettivo di fare lo stesso con tutti i collaboratori aziendali

Il manager deve avere una formazione culturale elevata ed eclettica, deve essere un buon politico, intessere relazioni anche fuori dall’azienda, portare avanti istanze con i vari stakeholter aziendali, con la classe dirigente politica e amministrativa locale, con il settore e in generale nella società, con il mondo della cultura, dell’informazione, della ricerca.

Sempre più aziende per cercare nuovi addetti si occupano e si preoccupano di trovare abitazioni e di darle ai nuovi collaboratori, spesso immigrati. Sempre più aziende si occupano del rapporto tra etica e business. L’azienda non è (più) un’isola in mezzo al mare: è un essere vivente e pulsante e necessita una classe dirigente fondamentalmente e profondamente capace di umanità.

gianluigi@gianluigimelesi.com

Ha vinto Trump: la laurea non serve a nulla?

Il mercato elettorale e quello dei beni di consumi hanno molto in comune, più di ciò che non si pensi: demonizzare l’elettore della provincia poco scolarizzato, pragmatico, egoista è sempre fatale.

I dati analitici dei flussi elettorali arriveranno in dettaglio tra qualche mese, ma già si può ragionare su moltissimi spunti che l’elezione di Trump ci fornisce dal punto di vista della mappatura del mercato.

Trump ha preso molti voti anche negli stati laddove ha perso nella gara per aggiudicarsi tutti i grandi elettori e tali voti sono stati utili a vincere le elezioni al Congresso e il voto popolare: come per le aziende quindi è la somma delle singole nicchie che conta e più sono le nicchie create, maggiore è la consistenza complessiva.

Decisivi a quanto sembra sono stati non più di 1,5 o 2 milioni di elettori distribuiti su 7 stati cosiddetti “fly-over” della provincia in cui i due candidati erano vicini nei sondaggi: il lavorare sul mercato in modo specifico non solo da città a provincia, ma anche nei singoli distretti all’interno delle stesse province con un geomarketing molto accurato che tenga conto della geografia economica e fisica paga e ha sempre pagato.

L’errore classico dell’azione sul mercato (elettorale in questo caso) è sempre stato quello di cercare una formula unica: nei mercati dei prodotti e servizi lo può fare solo il leader di mercato che abbina questa strategia massificata a quella di schiacciamento dei prezzi.

La segmentazione psico sociale dell’elettorato è altrettanto importante, gruppi sociali, etnici, le fasce di età, ma non solo: laddove è favorito l’avversario comunque cercare sempre e sempre chi vuole distinguersi, differenziarsi e sentirsi diverso con orgoglio proprio dai coetanei, da concittadini, dai compagni di scuola, dagli altri in una parola.

Per chi conosce il libro di De Amicis potremmo chiamarla la “strategia di Franti”.

Si tratta del consumatore disobbediente, discontinuo, umorale, infedele che spesso è più raggiungibile del consumatore ossessionato da “valori” e “coerenze” in modo dogmatico che è difficile “tenere insieme” un po’ come nella battuta classica che potremmo parafrasare in “due democratici, tre opinioni”

Usare i social? S’ anche, ma se si analizza bene a fondo: comizi non è certo venuta meno la macchina tradizionale delle elezioni americane, raccolta fondi, organizzazioni locali, comitati in ogni settore, categoria professionali o lavorativa.

 Il nuovo non soppianta mai il vecchio, la società è fatta di stratificazioni il mezzo non è mai neutro nella comunicazione.

La demonizzazione del potenziale cliente è la morte del marketing, anche elettorale. Mai mettere platealmente l’elettore contro l’altro elettore, ma dare a ciascuno l’impressione di identificarsi. La coalizione democratica, generalista, è troppo vasta ed è andata in contraddizione. Diritti sociali contro diritti civili hanno ingenerato confusione. Il messaggio deve essere chiaro, nitido, semplice, di comprensione immediata e diretto: Trump ha vinto sul taglio alla spesa e alle tasse, sull’immigrazione, sui dazi e le politiche industriali. Gli altri temi sono stati marginali.

L’elettore indeciso medio provinciale è poco scolarizzato: dare ascolto a questa che non è affatto una nicchia piccola, farlo sentire parte di una piattaforma, non demonizzare il suo modo di vedere le cose per quanto sia poco preparato, in contraddizione, la sua visione per quanto incoerente o egoista (ammesso che sia un difetto) sia. Non ha mai portato bene nel mercato non di lusso dire “tu no” o “tu non capisci niente”.  

La realtà del mercato e il punto di vista del consumatore vanno sempre accettati per come sono ed è proprio obiettivo e capacità di chi ha una scolarizzazione alta quello di riuscire a comunicare con chi non ne ha, tra i dipendenti di un’azienda, tra i clienti e tra gli elettori. Se hai imparato qualcosa all’Università deve essere questo, non teoremi.

E’ la somma che fa il totale diceva Totò: e mai come in questi casi il motto è indovinato.

Ogni mercato va studiato a fondo e le aziende con concorrenti più forti sui prezzi e finanziariamente potenti, devono moltiplicare sforzi e coltivare competenze elevate eccellenti di ridefinizione del mercato attraverso la segmentazione e una nuova catena del valore: vogliamo farlo insieme? Contattami: gianluigi@gianluigimelesi.com

Meno vendite, più profittevoli e ai clienti giusti: questa è la strategia.

Durante le crisi ci si trova periodicamente di fronte a uno stallo o addirittura crollo delle vendite.

Ma grazie all’utilizzo dei social anche i venditori possono essere più efficienti e risparmiare tempo facendo lavorare per loro il digitale.

Questo è il senso di questo libro – Più vendite in meno tempo – pubblicato nel 2020 e che propone tutta una serie di strumenti avanzati e “smaliziati” per migliorare l’efficienza della funzione commerciale nella parte vendite.

Spingere i venditori, adeguarsi agli strumenti di comunicazione e di ricerca dei clienti più efficienti e aggiornati, formarli sul modo di poter avere informazioni sui potenziali clienti per gestire il metodo e l’argomentario più idonei al target è sicuramente importante per l’azienda che voglia essere al passo con i tempi.

E’ sicuramente necessario dotare il venditore di tecnologia palmare e di tablet, connessione, dati e verifiche, insomma informazioni critiche che migliorano il coordinamento e la programmazione delle attività di visita clienti e l’efficienza delle vendite, al contempo permettendo ai responsabili commerciali di gestire in modo eccellente le risorse umane.

Non bisogna però dimenticarsi che sempre più spesso, non è importante di un mercato avere una fetta più grande o dimensionata o di fatturato maggiore, quanto, invece, coprire quella parte di mercato più profittevole per la mia azienda e presidiabile in base a un sistema valore fatto dal prodotto e dai servizi al cliente, operativi e strategici e a una fidelizzazione del cliente stesso.

Per molti settori del made in Italy, spesso posizionato in fascia di qualità, quindi meno vendite, più profittevoli ai clienti giusti è la risposta corretta, tenuto conto dei concorrenti e delle variabili in gioco, come le risorse disponibili in termini di budget e tempo disponibile.

Inoltre queste attività non possono essere lasciate ai venditori che magari con spamming o contatti ossessivi tormentano tutti i clienti sparando nel mucchio!

E’ compito, al contrario, della Direzione quello di mappare il mercato, definire le variabili strategiche, conoscere a fondo i clienti e il loro mercato, approfondire in modo raffinato lo studio del potenziale oggi sono attività imprescindibili per evitare una spinta a senso unico verso il mercato che non è adatta ai prodotti italiani tipicamente BtoB o comunque senza budget di comunicazione tale da far conoscere l’offerta aziendale a tutti indipendentemente dall’occasione di visita di un venditore o un contatto.

Oggi esistono strumenti come piattaforme di vendita per lo studio e la segmentazione del mercato che utilizzano anche l’intelligenza artificiale tramite ricerca semantica, come Atoka di Cerved o Margò di Crif/Cribis.

E’ però la Direzione aziendale a elaborare, confermare, modificare dinamicamente la strategia, non è un “programma” o un “modello” che consentono solo l’accesso ai dati.

Se sei un imprenditore, e se vuoi sapere se la Tua strategia è vincente, cioè quale la parte di mercato Tua e solo Tua, il confronto con un consulente di strategia che ti metta in crisi, che ponga sotto stress la tua scelta in una analisi di fattibilità, è lo strumento direzionale corretto.

Sei pronto imprenditore?

gianluigi@gianluigimelesi.com

Quale bilancio a un anno dal Siisl, la piattaforma per lavoro e formazione?

A partire da settembre 2023 è attiva la nuova piattaforma SiislSistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa, sviluppata dall’Inps, istituita dal Ministero del Lavoro, e che attiva percorsi di ricerca del lavoro e rafforzamento delle competenze.

Come è noto, obbiettivo della piiattaforma sono le politche attive del lavoro per coloro che percepivano il vecchio Reddito di Cittadinanza che non è stato più erogato e che hanno dovuto iscriversi al portale (190 mila adesioni circa a luglio 2023), ma che sono ritenuti idonei al lavoro. A partire dal 1 gennaio 2024, si sono aggiunti i beneficiari dell’assegno di inclusione. All’interno offerte di lavoro, corsi di formazione e tirocini, progetti utili per la collettività e altri strumenti di politica attiva per il lavoro, oltre a informazioni sullo stato di erogazione del beneficio e sulle attività previste dai percorsi personalizzati.

I dati che questi cittadini in cerca di occupazione inseriscono vengono inviati automaticamente ai centri per l’impiego oltre che alle Agenzie per il lavoro indicate (quindi anche l’intermediazione privata) dove il beneficiario deve sottoscrivere il Patto per il servizio personalizzato e aderire a un programma di politica attiva. Con l’avvio di una qualsiasi delle politiche attive, inclusi formazione, tirocini, progetti utili alla collettività o altro, ha anche inizio l’erogazione del beneficio mensile per la durata del corso o dell’attività, per un massimo di 12 mesi.

Quale bilancio dopo 12 mesi dall’avvio? Che ne è stato di questi (buoni) propositi?

In un articolo del Corriere La formazione per i poveri senza lavoro? Aiutati solo in 96 mila (e nessuno sa quanti abbiano trovato un’occupazione) | Corriere.it il bilancio dopo un anno non sembra essere molto esaltante a partire dai 150 milioni spesi su 1.5 miliardi stanziati. Obiettivo delle politiche attive è la riqualificazione delle risorse umane. Ebbene il rischio è che molti abbiano rinunciato poiché comunque con l’assegno non riescono a formarsi senza lavorare. E sono stati solo 86 mila i cittadini oggetto di questa formazione per la riqualificazione.

Certo, cinicamente, si dirà che in un attimo sono svaporati tutti i percettori del reddito di cittadinanza che contemporaneamente facevano un lavoro in nero e soprattutto che lo Stato per le poliche spendeva 5 miliardi e ora quasi zero. Ma non è certo questo l’obiettivo e lo spirito della legge introduttiva del SIISL: era invece di formare gli occupabili e rispondere ale pressanti richieste del mercato del lavoro nel quale mancano cronicamente 800.000 figure di vario tipo. E non parliamo delle figure più qualificate e formate, ma anche semplicemente di commessi, elettricisti, autisti, magazzinieri, panificatori, addetti del magazzino, ma anche molte altre posizioni in molti settori per le quali è sufficiente qualche mese di formazione.

Una cosa è certa: non ci sono ancora dati e sarebbe utile diffonderli per capire anche noi studiosi a fondo e magari far partecipare anche le aziende alla piattaforma, in modo da far caricare le posizioni aperte e già che ci siamo fare entrare anche i candidati: se è un market place per il lavoro che sia unico ma completo non mediato.

Questo avviene in Germania con il portale https://www.arbeitsagentur.de/en dove, neanche a dirlo parlando di tedeschi, ogni tipologia di lavoro, mansione, compito sono accuratamente classificati e quindi “incrociabili” al fine di far incontrare la domanda di lavoro delle imprese con l’offerta di competenze dei lavoratori e, dove vi fosse un gap, ecco che deve intervenire chi utilizza le risorse della formazione per le politiche ative.

Quindi il primo anno poco e male. Abbiamo risparmiato soldi che andavano sprecati con il Reddito di Cittadinanza cui non veniva abbinata né la riqualificazione né la ricerca di opportunità (placement): i dati del mercato del lavoro sono buoni, il tasso di occupazione arrivato a 63%, ma questa è la strada se vogliamo arrivare alla media europea (75%). E in Europa siamo buoni ultimi, soprattutto nell’occupazione femminile, come spiega questo articolo de Il Sole 24 Ore L’Italia resta ultima in Ue per tasso di occupazione, soprattutto femminile – Il Sole 24 ORE.

gianluigi@gianluigimelesi.com

Il Marketing dei Terzisti è l’Ufficio Tecnico, Ricerca e Sviluppo dei Clienti

Il nome di questa collana, i champion, da cui è tratto questo bel libro sulla case history di casi di aziende italiane di successo nel settore BtoBtoC non potrebbe essere più adatto per esprimere bene il contenuto di questo testo: Il Marketing dei Terzisti, non solo Brembo, i casi Manteco, Zordan, Pietro Fiorentini e Lem a cura di Maria Grazia Fusilli.

E questo Marketing si sintetizza bene con il concetto che il terzista, termine riduttivo, è in realtà l’ufficio tecnico e di Ricerca e Sviluppo (e innovazione!) del cliente azienda, spesso grandi nomi di vari settori, per cui lavora. I casi di successo raccontati, con un breve ma efficace story telling delle famiglie e degli imprenditori, Manteco, Zordan, Pietro Fiorentini e Lem descritti mostrano bene questo concetto.

Ecco alcuni spunti interessanti del testo che riassumo in modo molto breve ma, a mio parere sufficientemente indicativo di ciò che accumuna questi casi di successo:

  • Il cliente si può “istruire” guidare e orientare: lo sforzo dell’azienda terzista è quello di trasformare come detto il rapporto da pura fornitura (spesso fatta al buio senza essere coinvolti, con nessuna pianificazione) in consulenza vera e propria. Gli esempi nel libro nel merito sono illuminanti: spesso il sistema prodotto di valore si stravolge anche con poche mosse dando al cliente le armi per vincere sul suo mercato che in questi casi è spesso oltre 80% un mercato internazionale.
  • Fare Marketing non è fare depliant: un errore molto diffuso pensare davvero che sia solo comunicazione e pubblicistica, l’attività più critica del Marketing che in realtà è il cuore, il motore, grazie a un CRM dinamico e stratificato, definito giustamente “una fabbrica di dati” propositivo e misurabile nella capacità di fare Lead, di tutta la strategia aziendale che si esprime con la capacità di segmentare il mercato e trovare la propria nicchia o parte difendibile
  • Il Prezzo non fa la competitività: anzi, provocatoriamente (e di provocazioni ce ne sono tante in questo prezioso libro) la sfida è allontanarsi dalla competizione di prezzo, nel solco delle antileggi del lusso che ho presentato in un altro contributo https://gianluigimelesi.com/2022/07/10/400-mila-auto-storiche-fiat-500-modello-1957-in-circolazione-lunga-vita-al-lusso/ e che hanno il pregio di essere un misuratore della capacità e realtà dell’azienda terzista di creare vero valore per il cliente.
  • EBITDA come misuratore dell’eccellenza: la conseguenza del primo e del secondo punto è che nell’ottica del gioco win-win, cioè creo valore per il cliente azienda che me lo riconosce a sua volta è la capacità di generare multipli di valore e margini, liquidità per l’azienda, per gli incentivi ai collaboratori commisurati all’EBITDA stesso. Anche in questo caso una interessante provocazione (ma neanche tanto tale): i margini sono più importanti dei volumi.

Di tutte queste attività l’azienda deve dare visione in una politica di comunicazione che dimostri come l’azienda ha una identità, una missione, un sistema valoriale fatto come detto di dipendenti incentivati, soddisfatti, che accettano la sfida della continua innovazione per il committente, fatto di certificazioni sociali e di sostenibilità ambientale e sul territorio come la SB Società Benefit, fatto di azioni di charity sul mercato, fatto di iniziative come il museo aziendale e pubblicazioni di libri come quello di cui parliamo frutto di relazioni, interventi, contribuiti e azione dell’imprenditore stesso.

Questi e molti altri spunti emergono dai quattro casi aziendali illustrati in questo pure breve volumetto. Il resto su altre aziende di successo come queste che ho seguito in 30 anni di attività di Project e Temporary Management in molti settori, posso raccontarlo a chi vorrà contattarmi per avviare una collaborazione. Ovviamente di valore!

gianluigi@gianluigimelesi.com

L’impresa teatrale e il teatro dell’Impresa

E’ Claudio Pallottini, attore, sceneggiatore, l’autore di questo stupendo saggio biografico, un docu libro realizzato con un collage di testimonianze di attori, registi e uomini di teatro e cinema, arricchito di aneddoti, testimonianze, cronache (anche tristi e misere come quella dello scippo da parte della politica del Teatro Brancacci) e strutturato come la sceneggiatura di un vero film in cui il protagonista non è tanto e solo Gigi Proietti, quanto e piuttosto il Teatro, il fare impresa teatrale a partire dalla creazione dell’attore.

Il saggio Edito da Carocci a ottobre 2023, molto più di una biografia del grande Gigi Proietti era in lista di lettura dei libri diciamo così culturali e confesso di aver dato precedenza a Cochi Ponzoni e Pupi Avati e altri libri di evasione e di alleggerimento della mia formazione culturale di aziendalista.

Poi però pagina dopo pagina mi sono accorto che è un libro che serve moltissimo al mio arido lavoro di consulente di aziende e formatore manageriale. Quando mi trovo a formare giovani rampanti manager e consulenti e manager aziendali, ricordo sempre loro che la tecnica è importante (per non demoralizzarli, dovrei invece dire che è scontata) ma la presenza, la psicologia, le capacità empatiche, il rigore e la chiarezza mentali e l’allestire una comunicazione mirata alla cognizione sono tutto.

Le complessità aziendali nascono sempre dalla mancata pianificazione della comunicazione in azienda e questa ha a che fare con le scienze cognitive, con la psicologia e la natura umana, non con una tabella!

Ecco: ci ho visto molto di questa bellissima lezione in questo testo. A un certo punto l’autore fa parlare Proietti che narra dell’impresa (da impresario teatrale) e per un attimo i due mondi si sono contaminati. Ma è vero? O piuttosto sono la stessa cosa? Pallottini uno sceneggiatore e ovviamente ho solo da imparare sulla scrittura, e pochissimo da dare consigli. Umilmente però ci tengo a dire che sempre più raramente trovo saggi di qualunque materia ben confezionati nella distribuzione e gestione dei contenuti, nella forma, nei sotterfugi retorici, negli stratagemmi per “tirare dentro” il lettore e così via. 

Quando un imprenditore avrà sposato la causa che tutta la vita è un teatro, e come dice Gadamer speriamo che l’arte, quindi il Teatro sia la vera vita, quando avrà fatto sua la lezione sulla motivazione dei collaboratori, sulla seduzione del cliente attraverso un legame strategico umano, sulla necessità di avere un progetto, un piano, un’ambizione e un sogno di dove vuole andare l’azienda con tutti i suoi collaboratori, allora avrà capito l’importanza di questo bel testo.

Buona lettura!

gianluigi@gianluigimelesi.com

Come (ri)costruire una rete di vendita di venditori o agenti

La struttura produttiva italiana, sia nella manifattura, sia nei servizi è fortemente sbilanciata verso il BtoB o B2B, il Business to Business, con una prevalenza che sfiora il 70% delle aziende italiane. Quindi il processo di vendita avviene da un’azienda all’altra attraverso complesse relazioni che attraversano le funzioni aziendali delle due aziende, quella fornitrice e quella cliente del prodotto servizio.

Il processo di acquisto quindi è complesso e coinvolge vari decisori e influenzatori, e le relazioni commerciali e in particolare l’attività di acquisizione dei clienti possono essere gestite direzionalmente oppure attraverso una rete di agenti o venditori dipendenti sul territorio o cui è assegnata una determinata categoria di clienti o in base ad altri criteri.

La recente ricerca di Istat sugli obiettivi strategici dimostra come in testa a quelli delle aziende con almeno 10 dipendenti restano il difendere la posizione competitiva e aumentare le attività in Italia: entrambi questi obiettivi sono raggiunti anche e soprattutto attraverso la creazione, ristrutturazione e gestione di una rete di agenti e venditori.

Secondo una seconda ricerca recente https://www.money.it/e-commerce-b2b-in-crescita-nelle-aziende-italiane nel settore BtoB solo 11% usano l’E-Commerce anche se nei prossimi tre anni è prevista una crescita al 25%,

Dunque come mostra anche uno studio di Mc Kinsey che riportiamo sotto resta prevalente la relazione umana sia nella fase di identificazione e ricerca di nuovi clienti sia nella fase di approccio per la scelta di nuovi fornitori.

Da notare nell’info grafica seguente come è prevalente la relazione da remoto, quindi se vogliamo in back-office, segno che le aziende italiane spesso sottovalutano la necessità nel BtoB di allestire un ufficio marketing che non si occupi solo di gestione sito, comunicazione, social, fiere e le solite attività di gestione agenzie di comunicazione e grafica, ma che sia soprattutto dedicato al prospect e al coordinamento della rete di vendita per gli appuntamenti mirati alla acquisizione di nuovi lead.

Curioso come la gestione dell’ordine, una volta acquisita la relazione con il cliente solo in parte minima e per settori dove la tecnica è molto complessa e il venditore è tecnico commerciale è gestita in modo diretto con relazione umana di persona. Resta determinante, e questo è davvero interessante, comunque una relazione umana da remoto, anzi sembra essere addirittura superiore rispetto alle fasi di prospect, cioè di ricerca clienti, laddove come si sa spesso sono necessari più incontri con il cliente e per un tempo spesso di mesi e mesi prima di finalizzare.

Tutto questo sembra spesso essere in contrasto con i comportamenti manageriali e imprenditoriali in Italia spesso volti a scaricare sull’agente la gestione a tutto tondo dell’offerta aziendale sul mercato.

Se l’azienda non copre il mercato bene, se è deficitaria nella distribuzione e rete di vendita, non è in grado di saperlo completamente, ma la concorrenza lo sa e applica discriminazioni di prezzo applicando prezzo competitivi solo dove è in concorrenza e marginando laddove l’azienda concorrente non è presente.

Per sapere se l’azienda abbia davvero una attività di gestione della rete di vendita e di copertura del mercato efficiente ed efficace è necessario implementare attività di profonda revisione. Ma qualche consiglio è possibile darlo, e da questi temi emergono già le prime criticità.

Ecco un sintetico decalogo di consigli per chi debba riorganizzare la rete di vendita partendo da una completa mappatura del mercato basata su rigorosi dati di mercato e su strumenti adeguati alle tecnologie attuali, inclusa l’intelligenza artificiale:

  1. I clienti devono essere individuati dall’azienda che deve studiare e conoscere il mercato: non è più accettabile che ci siano agenti che vanno su google o pagine bianche o si limitano al passaparola, o, peggio si appoggino su piattaforme di BtoB autonomamente.. Ci sono piattaforme di accesso a dati di molte fonti, registro imprese, siti, piattaforme, centrale rischi, raffinati e filtrabili con i parametri evoluti dell’intelligenza artificiale, della ricerca semantica, per temi e dinamica che l’azienda deve utilizzare e che sono accessibili senza budget eccessivi.
  2. Occorre individuare un responsabile del ruolo e un ambiente unico: un CMR database relazionale aziendale nel quale si abbia una visione unica e uno strumento conoscitivo del mercato, che funge da agenda, scadenzario, rubrica, mailing list, inviti a eventi gestito da un responsabile relazioni con i clienti diverso dal responsabile vendita, mentre può coincidere con il responsabile marketing e comunicazione.
  3. L’agente venditore è un interprete che sale sul palcoscenico e interpreta l’argomentario di vendita a seconda di chi ha di fronte, non può e non deve essere lui a scrivere il copione, cercarsi il pubblico, vendere i biglietti. In sintesi la strategia la fa l’azienda, il venditore la porta avanti e dà riscontri sull’efficacia della strategia stessa in un meccanismo di retroazione nel miglioramento continuo.
  4. Il tempo del venditore è prezioso: deve essere massimizzato programmando visite massimizzando l’efficacia, non date liste di clienti da visitare che si rivelino non profilati, cercate di dare al vostro venditore appuntamenti in cui sia atteso da clienti già interessati. Il venditore non ha tutti gli strumenti per interpretare il mercato, il venditore non ha tutte le armi, non può avere la vostra capacità di costruire una relazione da imprenditore a imprenditore, il venditore non è un direttore commerciale, non è un capo area, non può pianificare, organizzare e gestire l’azione, non ha il ruolo di comprendere e analizzare il feed-back di mercato. Il rischio è che faccia selezioni preventive, che si scoraggi,  
  5. I venditori devono avere clienti dedicati e assegnati il più possibile su base nominativa: si sa che l’agente può legare con il cliente ma anche no. Che esistono dinamiche di concorrenza anche tra i clienti vicini geograficamente, che alcuni clienti vogliono e devono essere gestiti dalla sede direzionalmente e che i clienti non sono tutti uguali, anzi. Queste e altre criticità come le categorie ibride dei clienti che devono essere gestite dall’azienda insieme agli agenti m
  6. Se il cliente non compra è sempre colpa dell’azienda: è l’azienda a decidere politica di prodotto, prezzo, assortimento, logistica, posizionamento, gamma, distribuzione. Non è mai colpa dell’agente se il cliente non compra. Se si ritiene che il venditore o agente non dedichi abbastanza tempo e passione, a coltivare la relazione con il cliente e persino se l’agente non ha approfondito fino in fondo e riportato in azienda le ragioni per le quali il cliente preferisce la concorrenza è comunque sempre responsabilità dell’azienda mandataria che deve formare, selezionare e gestire la rete di vendita
  7. I venditori agenti sono a loro volta imprese che devono fare utili: l’azienda deve garantire all’agente una continuità economica, margini, tranquillità e deve assicurare all’agente multimandatario anche i tempi per gestire le stagionalità dei suoi mandati. In alcuni casi è consigliabile coordinarsi con altri mandatari per massimizzare il tempo per tutti. Vi sono aziende che scelgono e procurano loro altri mandati al fine di legare l’agente.
  8. Costruire, progettare, sviluppare e realizzare un CRM e metterlo su tablet è un modo di guidare, dirigere, assistere, formare e supportare il venditore e l’agente creando al contempo strumenti di gestione di ogni aspetto della vendita e di budget e piani di azione. Ma va fatto in base alla matrice di segmentazione del mercato costruita dall’azienda per il proprio mercato che deve essere portata su un CRM e non viceversa prendendo un software e accorgendosi in ritardo che non supporta basi dati esterne o comunque multigestionali
  9. L’azienda deve avere sito, social, loghi, grafiche e comunicazione coerenti, studiati e di qualità prima di andare sul mercato ma non cercate subito la perfezione. All’inizio in sito può essere un ottimo biglietto da visita e conferma della competenza, qualità ed eccellenza dell’offerta dell’azienda che rimandi ad altre basi informative studiate per il cliente. Con il tempo e soprattutto con il piano di azione sul mercato. Il marketing è osmosi, non compartimenti stagni. Tutto si tiene.
  10. E’ un mito che gli agenti giovani siano più flessibili, aperti e affamati o che l’E-Commerce BtoB sostituirà la rete di agenti per la vendita: l’età o il mezzo non contano ci possono essere venditori pigri giovani e venditori esperti con grandi motivazioni di crescita e aggiornamento. E così anche i clienti possono decidere di usare canali digitali di commercio elettronico, drop shipping o vendita tradizionale indipendentemente dall’età. Un venditore si valuta anche sulla base delle informazioni critiche e strategiche di cui arricchisce il CRM aziendale e così un canale di vendita.

Se siete curiosi di sapere come concretamente costruire o ricostruire una rete vendita agenti, contattatemi: facciamolo insieme.

gianluigi@gianluigimelesi.com

Nel 2025 il debito pubblico arriverà a tremila miliardi: chi paga?

Nel 2025 e ce lo dice il sintetico documento di programmazione del governo, il debito pubblico arriverà alla cifra di tremila miliadi di Euro. E non scenderà in percentuale: anzi si manterrà a un livello vicino al 140% del PIL la ricchezza che l’Italia produce in un anno, che è a quota 2.085 miliardi nel 2023.

Per stessa ammissione del governo, la crescita si manterrà intorno all’1% nel 2024 e 2025 e questo nonostante le iniezioni di investimenti supplementari dati dal PNRR e nonostante che tre leggi di bilancio di questo governo saranno state attuate, governo, quindi, che in questo modo già mette per iscritto che alla lunga serie delle percentuali risibili di crescita degli ultimi 20 anni non riuscirà a porre discontinuità: da qui le impietose percentuali assolute e relative del fardello del debito.

Fu Milton Friedman a intitolare una sua raccolta di scritti sull’economi economia: “There’s not such thing as a free lunch” tradotto in “non ci sono pasti gratis”, cui il titolo del saggio di Veronica De Romanis, Il pasto Gratis, Mondadori 2024 fa evidente riferimento.

E’ interessante di questo saggio di Veronica De Romanis innanzitutto il titolo, il pasto gratis: ho letto negli ultimi anni diversi saggi su varie tematiche scritti da ricercatori e studiosi italiani che vivono all’estero e ho trovato in essi mal tradotta questa espressione dall’uso così ricorrente da essere diventato un acronimo e significato molto più ampio di quello economico:il che già dice e conferma che la cultura economica nel nostro Paese è davvero tra le più basse persino tra le classi dirigenti che, evidentemente, non hanno mai conosciuto.

Le nostre nonne nella loro versione della traduzione ci avrebbero detto che solo il lavoro e il sacrificio costante porta a risultati e nessuno ti regala niente.

Mio zio Pietro, ristoratore, albergatore, premiato cavaliere per 60 anni di lavoro, che, nonostante la sua scolarizzazione elementare, considero un raffinato economista, aggiungerebbe: il denaro facile da spendere e soprattutto mai da restituire non aguzza l’ingegno, non fa impegnare a controllare la spesa, a ridurre gli sprechi, alla parsimoniosa ricerca di creare valore, valore solido, replicabile, vendibile e consolidato.

Tutti quanti noi conosciamo casi di persone diventate improvvisamente ricche che poi hanno sperperato un patrimonio e sono finite in miseria, a causa del loro non sentire in qualche modo una necessità di rendere ciò che si è ricevuto, se non altro per lasciarlo alla generazioni future oppure per trovare in questo impiego oculato un riconoscimento sociale o di autostima.

Avete mai assistito a un “pasto gratis”? E’ quello che si vede in certi posti “all inclusive” dove tutto è pagato, un villaggio vacanze o una nave da crociera o, purtroppo (e vi ho assistito personalmente) a certi convegni con “buffet”, dove la natura umana emerge in tutta la sua mediocrità e lo spreco alimentare impera. Nulla deve essere gratis o venduto per gratis ed è questo il compito di una classe dirigente: la nostra quella politica ma non solo ha invece ahimé fatto il contrario,

Il saggio affronta in particolare le politiche degli ultimi dieci anni, riferite alla gestione della manovra economica, all’indebitamento, al deficit di bilancio, all’azzeramento dall’avanzo primario che porta quindi alla non riduzione del debito; e in modo asciutto, argomentato e ben circonstanziato denuncia le molteplici occasioni di spesa allegra, bonus, prebende, le bugie raccontate agli elettori, gli annunci cui non seguono mai politiche conseguenti.

Ma leggendolo mi sono convinto soprattutto di una cosa: la spesa pubblica italiana che genera il debito non è comprimibile perché il debito è ritenuto espandibile all’infinito. Gli esempi nel libro e nelle cronache anche recenti. La spesa sanitaria, per esempio, viene misurata efficiente ed efficace se aumenta in termini assoluti o addirittura percentuali rispetto al PIL. Ve lo immaginate se una famiglia ragionasse così? E un’azienda? Provate a dire a qualcuno che se aumenta lo stipendio del 10% allora il suo negozio di alimentari può aumentare i prezzi del 10% e vedete cosa vi risponde.

Ecco che l’esempio ci pone due questioni: il debito non si riduce neanche con un 20% di inflazione nell’ultimo triennio, cosa gravissima, il debito e la spesa continuano a crescere in termini assoluti per il maggiore e più formidabile (come direbbe Manzoni) buyer sul mercato, mentre nel mercato privato si assiste a un aumento dell’efficienza di spesa continuo.

Un paese che arriverà presto a spendere 100 miliardi di spesa per interessi all’anno non può lamentarsi che non vi siano soldi per “investire nella sanità” o “nella scuola”: i soldi ci sarebbero se non fossero già sprecati in spesa corrente improduttiva finanziata con deficit e debito di cui poi dobbiamo anche pagare gli interessi.

E se poi questa è la situazione, l’attenzione alla spesa, la cura all’efficienza, al rigore dei conti, alla scelta selettiva delle poste su cui investire, dove lo spreco, lo sperpero la spesa allegra regnano è evidente che chi può evadere lo fa, e sbaglia ovviamente perché la situazione così peggiora, ma mai quanto la fiducia che i propri soldi in tasse creeranno benessere piuttosto che debito.

Tornando al nostro capofamiglia che non accetta di sprecare, dissipare un aumento dello stipendio in un pari aumento della spesa, egli ci risponde così perché è il suo portafoglio, mentre tutti i politici che ci hanno governati e i cittadini che non accettano una cura dimagrante del bilancio pubblico sono evidentemente convinti che il portafoglio che deve pagare il debito sia quello di altri e non il loro: il libro lo chiarisce benissimo, non esiste pasto gratis e il conto arriva. A noi italiani.

Buona lettura

gianluigi@gianluigimelesi.com

L’intelligenza artificiale e le (nuove?) competenze dei manager.

Questo testo uscito nel 2022 per il Mulino, IA istruzioni per l’uso, di Daniele Caligiore può essere un ottimo punto di partenza per approcciare come primo gradino il tema dell’intelligenza artificiale in azienda e in generale nella creazione di competenze e nella formazione anche manageriale delle risorse umane.

In realtà, e arrivo subito alla conclusione, non è affatto un testo base, in quanto prende subito di petto aspetti fondamentali delle capacità umane più avanzate: le capacità di riflettere a fondo e lungamente e in modo critico, di analizzare nei dettagli e separatamete ogni aspetto e solo dopo lavorare contemporaneamente (multitasking) in modo ordinato, l’impoverimento della conoscenza, la capacità di attenzione ridotta, le competenze trasversali,e la cultura umanistica e relazionale, la stessa multiculturalità e l’impatto di tutto questo nel settore dell’educazione nella scuola e nell’università.

Queste competenze dei manager chiamate “soft skills”, ma che non sono affatto leggere o di poco peso oltre a essere necessarie per gestire l’impatto spesso oscuro dell’Intelligenza Artificiale sulle attività umane, sulle neuro scienze e sulle relazioni in azienda, sono anche sempre più quelle vincenti e richieste visto che via via sono sempre meno richieste ai manager le competenze tecniche, a causa di meccanismi come il machine learning, il deep learning, le neurotecnologie e le tecnologie dell’informazione, big data, block chain e via dicendo di cui il libro presenta una chiara spiegazione “per iniziare” e che soppiantano la parte “analogica” svolta dai manager stessi.

Il risultato quasi paradossale , ma non tanto, quindi della tecnica applicata all’estremo da parte dell’uomo grazie alla capacità sempre più sviluppata della “macchina” di imparare e proporre a sua volta è quello di tornare all’eccellenza dell’umano come competenza richiesta ai leader. In cosa consiste? Nella ricerca del’impossibile, del contraddittorio, della distruzione creativa, del pensiero critico e nella riflessione. E ancora: nella conoscenza della natura umana, delle motivazioni, dei percorsi di vita e di sviluppo e crescita personale.

La richiesta da parte di molti giovani collaboratori selezionati per i profili più ricercati di avere flessibilità di orari, possibilità di lavoro da remoto, tempo per sé e per la famiglia si inquadra in questa tendenza in atto: compito dei manager è portare i processi aziendali a una realtà che sarà sempre più questa affiancando le risorse umane nella formazione, motivazione e rassicurazione in tal senso. Sono competenza tutt’altro che nuove ma che l’Intelligenza Artificiale sta riportando al centro.

Come citato nel testo, Plutarco ci dice: “la mente umana non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”. Ed è questo il punto focale del testo: il ruolo dell’umano nella IA.

Chi ha intrapreso studi tecnici per, diciamo così, cercare certezze e sicurezze, sappia che l’Intelligenza Artificiale ci obbligherà ad essere ancora più insicuri come esseri umani alla continua gestione del cambiamento, a porre domande ambiziose irrisolte e dubbi che disorientano, ma che ben rappresentano la realtà, se essa è rappresentabile. Ma, di nuovo, ci viene in soccorso una citazione tratta dal libro ad opera di Einstein: la differenza tra un genio e uno stupido, è che il genio ha dei limiti. Non ci spaventiamo quindi: ma investiamo in conoscenza e competenze umane che saranno sempre più richieste così da superare questi limiti. Ogni volta.

Buona lettura.

gianluigi@gianluigimelesi.com

Imprenditori e M&A: un testo per riflettere sul concetto di valore

E’ da poco uscito per Egea il prezioso testo di Eugenio Morpurgo sulle operazioni straordinarie di azienda dal titolo Imprenditori e M&A.

Quando si parla di Mergers & Acquisitions, cioè di fusioni e acquisizioni di aziende (compravendita) si pensa a passaggi generazionali non disponibili o mancati oppure a scelte quasi obbligate dal declino progressivo del settore o un suo accorpamento.

Si considera raramente, al contrario, che far entrare un investitore in una compagine societaria può essere un modo di crescere acquisendo dall’investitore nuovo socio know-how, apertura di mercati anche internazionali e relazion,i e anche per fare un passaggio generazionale obbligando i propri eredi a lavorare per una terza parte dalla visione complementare, indipendente, ma, spesso, più distaccata, manageriale e anche rigorosa.

Inoltre, la valutazione di azienda, cioè di un complesso di beni e di una organizzazione atti al conseguimento dell’oggetto sociale rappresenta in qualunque momento una valida occasione di capire se la strategia perseguita trova nel mercato una conferma o meno.

Degli asset immobiliari, per esempio, esiste un mercato in sé: una borsa immobiliare) che genera quindi dalla statistica dei valori di compravendita di unità simili, in zone uguali o simili, con caratteristiche simili un punto di riferimento per un valore di partenza.

A questo va aggiunto anche un secondo parametro è che è la capacità di quell’unità immobiliare di generare un rendimento per l’investitore. Esso dipende in gran parte dal valore del bene che a sua volta ne è influenzato, e dal costo opportunità dell’investitore che confronta l’investimento con altri investimenti dal titolo di stato, alle obbligazioni, alle azioni e ai beni di lusso come l’oro.

Tutti questi parametri e altri determinano un valore di mercato. E se scopriamo che il mercato sta… strapagando gli immobili in una data piazza (per esempio negli ultimi anni, Milano) anche in zone apparentemente non pregiate o proprio depresse, significa che il mercato conosce un’altra variabile a noi non nota: la previsione che gli operatori fanno sulle evoluzioni (giusta o sbagliata) del mercato stesso.

Queste logiche sono anche quelle della valutazione dell’impresa: il valore corrente di mercato, le aspettative, il rendimento e il rischio legato ad esso, per esempio. Ma una azienda è un qualcosa di più complesso poiché non è un bene immobile ma un sistema, una organizzazione, un ente gestito da esseri umani per vendere ad altri esseri umani prodotti e servizi. 

Si potrebbe dire che l’immobiliare è una nave: e l’azienda è la stessa nave che però affronta rotte commerciali e possibilità di fare valore in mare, anzi, in oceano aperto con tutte le tempeste e le imprevedibilità.

La cosa si complica parecchio! Molta parte del capitale umano è di difficile valutazione, e spesso in azienda di servizi particolarmente avanzati (o industriali dove l’aspetto di progettazione è rilevante) esso è determinante per una cosa fondamentale: la capacità non solo di avere un rendimento per l’investitore, ma anche di poterlo replicare in futuro cambiando la proprietà dell’azienda.

Conoscere in ogni momento il valore teorico di vendita sul mercato della mia azienda costituisce un punto di riferimento insostituibile poiché il mercato conosce le evoluzioni attese del settore spesso più e meglio di quanto i singoli operatori possono fare.  

Lavorare per creare valore, misurato dall’investimento che un compratore è disposto a fare aiuta le aziende a capire come se e come il risultato della gestione e il vantaggio competitivo attuale sono considerati a rischio di continuità. Obbliga a confrontarsi con la concorrenza in termini di efficienza di gestione dei fattori critici di successo, come la quota di mercato, la tipologia di servizio, l’incidenza e il rischio materie prime, il rischio sistemico per quel dato settore (che a parità di EBITDA il reddito normalizzato alla base del calcolo determina risultati diversi) e via dicendo.

A questi temi se ne aggiungono però altri tipici del mercato M&A di cui Eugenio Morpurgo è profondo conoscitore e advisor, come i fattori soggettivi quali la scelta del periodo temporale cioè della finestra ideale per valorizzare gli asset aziendali, il criterio di valutazione e calcolo da parte dell’investitore, la quota dell’acquisizione scelta, se si stratta di investitore puro o di settore, se la strategia è legata alla quotazione dell’azienda oppure a una Exit Strategy di rivendere a un nuovo investitore (o agli stessi soci)

La tipologia di investitore, come spiegato nel libro, grazie all’esperienza e al rigore dello studio, è molto importante nell’ottica di un lavoro, quello delle operazioni straordinarie con vendita delle quote di un’azienda che non è certo di breve durata a seconda della struttura dell’operazione, della governance desiderata, dell’orizzonte temporale e degli obiettivi strategici attesi dall’imprenditore.

La vendita di un’azienda dimostra quindi come ogni teoria sul valore trova conferma (o meno) nel mercato: conoscere in ogni momento i potenziali acquirenti della propria realtà, conoscere il prezzo al quale sono disposti a comprare l’azienda e conoscere a fondo i meccanismi di valutazione orienta nelle decisioni strategiche aziendali anche se non si è davvero interessati a vendere.

Perché il capitano di questa nave intenta sempre a solcare i mari che è l’azienda possa sempre sapere cosa l’aspetta quando ritorna nel porto per il prossimo viaggio.

gianluigi@gianluigimelesi.com