
Non mancano nel panorama editoriale diversi testi tecnici (e articoli scientifici) molto esaustivi e al contempo divulgativi che chiariscono bene dal punto di vista contenutistico il concetto di Intelligenza Artificiale, come è nato storicamente il termine, come si è sviluppata la storia del cosiddetto “apprendimento della macchina”, le tipologie, gli approcci.
La domanda che però emerge sempre in azienda (e spesso, ironia della sorte guarda caso all’interno delle case editrici nell’analizzare un testo o addirittura nel generarlo per la pubblicazione) è quanto sia vero che la macchina pensi.
Gli imprenditori, che in Italia spesso non hanno scolarizzazione elevata, o comunque specifica nel campo della tecnologia legata all’AI, curiosamente pongono sempre la stessa domanda che così posso riassumere: “ma è un programma solo un po’ più flessibile, sofisticato e potente per i dati che riesce a masticare o è proprio intelligenza che pensa?”
Ecco, leggendo questo libro, mi è tornata a mente proprio questa domanda, in particolare al concetto di “pensare” e al significato che ognuno di noi dà al termine. Accenno solo qui di aver sentito l’autore alla radio dire egli stesso quanto tutti, credo, abbiamo capito e banalmente che se proviamo a chiedere allo strumento qualcosa che conosciamo bene, ci accorgeremo che magari lo strumento risponde in base a ciò che è stato inserito in esso, coscientemente, o incoscientemente, consapevolmente o dolosamente.
Non voglio svelare nulla dei 10 miti ben riassunti e “puntuti” cioè ideonei a lanciare – come ogni testo deve fare – la riflessione circa questa tecnologia apparentemente così “disruptive” dirompente e devastante in certi suoi aspetti. Questo libro è appunto un contributo critico, non è un manuale, ma parlando di intelligenza, cito la scheda che ben riassume la ragion d’essere di questo prezioso contributo, cioè per citare Manzoni, l’intelligenza della sua narrazione: “tra rigore e leggerezza, il libro decostruisce semplificazioni, suggerisce nuove prospettive, stimola domande. Senza offrire facili risposte, invita a riflettere sul modo in cui raccontiamo l’IA – e su quanto quelle narrazioni influenzino le nostre scelte, le nostre paure, il nostro futuro.”
Chi lavora e vive la vita aziendale avrà riconosciuto l’approccio critico, introspettivo e consapevole che dobbiamo da sempre avere con la persona umana, con il capitale umano aziendale e l’intelligenza degli esseri umani: e perché, dico io, a maggior ragione non dovremmo averlo con quella artificiale?
Buona lettura.
gianluigi@gianluigimelesi.com
