Legge sulla partecipazione dei dipendenti alla gestione dell’azienda: molto rumore per nulla?

Con l’approvazione al Senato della “legge Sbarra” sulla partecipazione dei dipendenti alla gestione dell’azienda per cui lavorano, dopo 77 anni, trova finalmente applicazione l’articolo 46 della Costituzione che recita: “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.”

Buone notizie quindi? Non molto.

Negli ultimi anni negli altri Paesi occidentali e soprattutto di quelli anglosassoni, si sono create forme di partecipazione dei dipendenti al capitale sociale e agli utili, ma soprattutto alla gestione nell’ottica di favorire un loro maggiore interesse alla vita sociale e imprenditoriale. Questa elevazione economica e sociale è mirata proprio a creare un clima di coinvolgimento e partecipazione alle decisioni che determinano i risultati aziendali, creando un clima di lavoro migliore e gratificando i collaboratori destinando a essi parte dei risultati al raggiungimento dei quali hanno contribuito con il proprio lavoro.

Ma il coinvolgimento non avverrà però in modo automatico: dovrà essere previsto e regolato da contratti collettivi che ne dovranno stabilire le regole di base e le modalità concrete di attuazione ed i meccanismi di selezione dei rappresentanti dei lavoratori. Sono quindi escluse moltissime che non hanno rappresentanza sindacale, in pratica quasi tutte le PMI, che rappresentano il 72% dei lavoratori.

La nuova legge, in particolare, prevede la possibilità di includere i rappresentanti dei lavoratori nei consigli di sorveglianza, nei consigli di amministrazione e in altre posizioni decisionali per garantire una visione più equa e condivisa degli obiettivi aziendali il che esclude tutte quelle aziende, prive di consigli di sorveglianza e con organi di gestione monocratici o comunque privi di rappresentanza di professionisti e sindacalisti.

A questo proposito, l’indicazione di un sindacalista in base a un accordo contrattuale collettivo e delle modalità di attuazione, anche se la legge stabilisce che “i lavoratori devono essere coinvolti nel processo di selezione”, limita la possibilità che i lavoratori vengano davvero coinvolti nella scelta di professionisti terzi, competenti e preparati, indipendenti anche e soprattutto dalle logiche sindacali, che svolgano un vero ruolo di crescita della capacità del lavoratore di comprendere le esigenze aziendali e di operare le scelte nell’interesse dell’azienda e di tutti gli attori coinvolti.

Per quanto riguarda la partecipazione economica e finanziaria dei dipendenti al risultato, vengono poi introdotti incentivi fiscali legati alla distribuzione degli utili aziendali ai lavoratori e piani di partecipazione finanziaria che permetteranno ai lavoratori di acquisire azioni aziendali, anche in sostituzione di premi di risultato, il che fa pensare che non vi sia un “di più” ma un “invece” cosa che rischia di trovare opposizione tra chi vede da un lato qualcosa di certo oggi e dall’altra di incerto e aleatorio domani.

Il colpo di grazia è stato il fatto che nella votazione del testo di legge definitivo è stato ridotto da 10mila a 5mila euro il limite per l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 5% sugli utili distribuiti ai lavoratori. Eliminata, inoltre, la possibilità di esentare dal reddito contributi destinati a forme pensionistiche complementari o assistenza sanitaria derivanti dalla redistribuzione degli utili.

Insomma, si rischia di avere solo qualche “poltrona in più” nei CDA e nei consigli di sorveglianza delle grandi e grandissime imprese occupata dai sindacati o loro delegati, tramite loro persone di fiducia, nessuna crescita della “elevazione economica e sociale dei lavoratori” e poco o nulla di distribuzione degli utili e dei dividendi ai dipendenti.

Davvero, se fosse così, se non vi fosse una crescita di cultura economica dei lavoratori, di partecipazione alle scelte e di condivisione dell’identità dell’azienda sul mercato e veri incentivi fiscali sui dividenti ai dipendenti sarebbe molto rumore per nulla.

Gianluigi@gianluigimelesi.com

Undici anni dopo, qual è il bilancio dei giovani italiani “accompagnati dai genitori”?

Nel 2002 Beppe Severgnini riprendeva una mia lettera a Italians in un articolo apparso sul cartaceo e sull’on line.
http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/corriere-genitori-sempre-giovani-e-figli-che-non-crescono.flc
L’articolo, e modestamente la mia lettera, anticipavano il fenomeno dei “bamboccioni”.
Sono passati undici anni: qual è il bilancio di questi anni dopo due crisi una nuova moneta in crisi e una nuova generazione di 18 enni?
Forse possiamo dire: “quel che non poté l’articolo, poté la crisi mondiale del 2008-2013”.
I nuovi 18 enni sono pronti per andare “senza i genitori” nel mondo, non so se per scappare dall’Italia o per conquistare il mondo.
Ma almeno una cosa positiva in questa crisi sistemica interminabile e sfiancante l’abbiamo trovata.